anno 2013

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10/09/2013

Pizzowhat di Correre - Numero 347 - Settembre 2013 - I figli e la corsa

PIZZOWHAT
Numero 347
Settembre 2013

I figli e la corsa... lettera al direttore


Caro Orlando.
Appartengo anch’io, come voi di Correre (mi pare di aver letto più volte) alla categoria di coloro che considerano settembre il vero inizio dell’anno: scuola, lavoro, tutto che si rimette in moto.
Ѐ adesso, quindi, il momento di partire al grido di “Anno nuovo, vita nuova”.
Lista dei buoni propositi? Convincere mia figlia di quattordici anni a venire a correre con me.
Il mio timore? Sbagliare l’approccio, non saper proporre la mia passione in modo adeguato al suo modo di vedere il mondo, molto silenzioso e digitale, mediato dagli strumenti (telefonino soprattutto) che sembra usare come filtro nella comunicazione con le persone cui vuole bene.
Il vostro servizio “Quando la corsa è nel DNA”, su Correre di luglio, mi ha fatto capire che il miglior modo di realizzare il mio sogno è non insistere, lasciare al figlio la libertà di decidere. Con il mio più grande, oggi centauro ventenne, abbiamo provato e fallito, anche se io preciso sempre che a fallire è stato mio marito, podista incallito, con la sua convinzione che a trascinarlo alle corse su strada tutte le sante domeniche mattina, comprese quelle fredde d’inverno, prima o poi si sarebbe innamorato della corsa.
Certo, alcuni riferimenti disillusi a sua figlia, che ho colto in alcuni suoi editoriali, non mi fanno ben sperare.
Eppure non riesco a rassegnarmi: possibile che almeno il senso di libertà e di indipendenza che trovo insito nella corsa non appartenga alla visione del mondo di un’adolescente?
Preciso che io non sogno una figlia atleta, ma solo un’amicizia che possa col tempo prima affiancarsi e poi sostituirsi al rapporto “gerarchico” madre-figlia.
Un caro saluto.

Ilaria Cantamessi - Forlì


Non posso affermare che con mia figlia (più grande, diciannovenne) ho fallito nel convincerla a correre perché non ho insistito, e non ho neppure il rammarico di non averci provato. Nella sua filosofia non rientra l’impegno fisico, di nessun tipo, pertanto non ha motivazioni che la convincano a muoversi. Certo, ce ne sarebbero, ma correlate a gratifiche materiali, come andare in centro a piedi per comperarsi un paio di scarpe nuove. Per tutto il resto è fatica sprecata ed energie nervose investite a vuoto perché ad ogni tentativo, anche per una semplice passeggiata, sono lamentele e contrasti. Ho più fiducia con Chiara, undicenne, perché è favorevole all’attività fisica. Ha un approccio più attivo in ogni ambito: ha voglia di fare ed è determinata in tutte le cose che affronta. Quando la cerchiamo è spesso nel giardino di casa a perfezionare gli esercizi di ginnastica artistica che fa in palestra con le amiche. Per ora non corre, nel senso che non si allena, ma se com’è successo ieri durante una gita in montagna le propongo di percorrere di corsa un’invitante sentiero, lo fa e mi segue con entusiasmo. Si diverte perché le propongo “la corsa” come un gioco che per essere tale non deve includere l’affrontare i disagi della fatica come li intendiamo noi podisti. Nel “fartlek” svolto ieri nei prati e nei boschi di Livigno, c’era appunto da correre per brevi tratti con lo stimolo di svolgere qualche cosa. Correre di fianco al torrente per verificare se la nostra velocità fosse più elevata del pezzo di legno buttato prima in acqua. Sprintare attraverso un prato appena falciato. Superare dei dossi come fossimo delle moto da cross. Arrivare in cima ad una salita senza fermarsi. Correre fino a contare 5, 10, o 20 alberi. Tra ogni sforzo la pausa deve essere adeguata per recuperarlo; non è un allenamento strutturato ma un “gioco di velocità”, e camminiamo tranquilli commentando l’impegno sostenuto, ma chiacchierando anche di altre cose con lo sguardo attento a ricercare altre prove da affrontare. Complice in questo gioco è spesso il nostro cane, che vitale e pieno di energie è disposto a seguirci senza remore. Come riferito, non si tratta di allenamento ma di un gioco, che per essere tale deve divertire. Alla fine mi chiede anche quanti chilometri abbiamo percorso, come segno tangibile dell’impegno sostenuto. M’invento sempre qualche numero e per fortuna che ogni volta se lo dimentica, segno evidente che il piacere del fare sovrasta il resto.
Diventerà un’atleta? Difficile affermarlo ora. Di certo ricorderemo il piacere di aver vissuto sensazioni ed emozioni che tante altre cose che catalizzano l’attenzione dei ragazzi dei nostri tempi non danno con la stessa gratificazione.

Orlando


Commenti


I figli e la corsa
Rispondo a questa lettera come figlia di runners, per dare in un certo qual modo la testimonianza di come,alle volte, crescere in una famiglia di corridori porti inesorabilmente a a far diventare runners anche i figli.
Sono cresciuta nel mondo della corsa fin da bambina; seguivo i miei genitori alla gare e mi facevo scarrozzare in giro per il mondo per le maratone (ottimo modo di fare turismo!). Fino ai 17 anni anche io non sopportavo l'idea di correre. Ogni tanto facevo qualche garetta (6-8km) magari in relazione a qualche maratona ma ho sempre ripetuto a tutti che MAI sarei diventata una runner. Beh, in 3 anni le cose sono ben cambiate. Ho iniziato a correre non tanto per il divertimento dello disciplina in sè per sè, quanto per la volontà di fare uno sport che alla fine non mi occupasse troppe ore della giornata. Da qualche allenamento saltuario, sono arrivata a correre regolarmente, aumentare le distanze e arrivare a correre delle mezze. La prima volta che sono andata a uno stages di Orlando per accompagnare i miei genitori avevo 2 anni, e dopo 11 volte da accompagnatrice, quest'anno, a 20 anni, quella che faceva lo stages ero io.
Non è quindi impossibile che un figlio segua la passione dei genitori! Io penso che la corsa più che gli altri sport sia una disciplina che non si può amare dalla prima volta che metti le scarpette,ma è un amore che si costruisce poco per volta, legato anche al orgoglio di migliorare tutte le volte un pochino di più. Da figlia, posso quindi dire che il modo migliore non è ne spronare assiduamente, ne lasciare che la passione arrivi da se. Credo che i miei genitori, in maniera indiretta, abbiano contribuito enormemente a portarmi su questa strada. Ed è ormai diventato un modo per passare del tempo con loro, in modo divertente e talvolta piacevolmente competitivo. Occorre trovare una via di mezzo, che non porti nè a un rigetto definitivo da parte del figlio nè a una totale assenza di stimolo.
agnese.bonavita@gmail.com il 28/09/2013 14:38

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