11/06/2012
Il racconto di Raffaella - La maratoneta clandestina
RUNNERS&WRITERS
Anno 1 - numero 26
Lunedì 11 giugno 2012
Anno 1 - numero 26
Lunedì 11 giugno 2012
La maratoneta clandestina
La clandestinità non è una caratteristica che contraddistingue i maratoneti, infatti di noi si sa tutto, che tipo di scarpe usiamo per correre, di cosa ci nutriamo, a quanto andiamo al kilometro, dove facciamo i lunghi, ogni dettaglio sulle gare fatte o da fare, dalla strapaesana alla maratona più ambita e riconosciuta al mondo… Non facciamo mistero di nulla e parliamo sempre di corsa. Solo un dettaglio delle nostre conversazioni risulta piuttosto inattendibile: “quanto ci alleniamo” questo è un particolare sul quale di solito si tende a mentire d’ufficio : “non mi alleno mai, sono fuori forma, è tanto che non corro” sono bugie ricorrenti con la puntualità di una cartella esattoriale. La verità è che siamo intimamente compiaciuti, (e fatichiamo ad ammetterlo), che tempi degni di uno shuttle siano tutto merito di un fausto dna, piuttosto che di sudore e fatiche affrontate in barba al maltempo, crampi e acciacchi di vario genere. Oppure, quando ti rendi conto che nonostante i tuoi sforzi, anche la tartaruga del giardino va più forte di te, il “non mi alleno mai” serve a coprire, più a te stesso che agli altri, l’imbarazzo per la magra performance.Io invece, in questo periodo mi sento una maratoneta clandestina, perché ammetto di aver preso il pettorale per la maratona di Firenze , senza aver messo al corrente della cosa la mia adorata famiglia. Non ho cliccato “condividi” sulla pagina delle mie due ragazze, né ho trovato lo spirito adatto per confessare all’“ Orso” che mi sono ammalata di “maratonite” e non paga di aver corso a Berlino meno di due mesi fa, mi sono procurata, tra i primi nella squadra, un nuovo pettorale, lanciandomi in un’altra “impresa folle”, come chiama lui la maratona.
Giuro, non è mancanza di coraggio, ho voluto solamente ritagliarmi un piccolo spazio dove godere di quello stato di grazia adolescenziale per cui fare le cose di nascosto raddoppia il piacere; una sensazione carbonara (che non è la pasta) dove tutto è condito da circospezione, attesa, momenti di sospensione e di estrema privata soddisfazione: che meraviglia!
Fra due giorni parto per Firenze con la squadra, sono felice come se fossi una scolaretta prima della tanto agognata gita scolastica: i pensieri si infilano come perle sul filo elettrico dell’attesa: cosa metterò nello zaino? Di cosa parlerò coi miei compagni durante il viaggio? E ancora proiezioni mentali sulla maratona: che strategia? Chi della squadra potrei affiancare in gara? E poi, organizzare le ore che mi separano alla partenza, gli sforzi per non dimenticare nulla di importante…. Dai Raf, è una gita, un week-end diverso, prendila con calma ! Pinocchia!!!! Cadi tu sola nelle tue stesse trappole, l’hai raccontata agli altri, l’hai venduta come volevi che fosse, questa storia, una gitarella da goliardi; “vado in gita con la “Scuoladimaratona” hai detto a casa, guarda un po’ a Firenze, la meta delle gite scolastiche per eccellenza ! La verità è che volevi testare ancora una volta te stessa in maratona e te la volevi vivere in sordina, come il gatto che ha catturato il topolino e si nasconde per mangiarselo e gustarselo in santa pace. Di sicuro Qualcuno in casa ha già mangiato la foglia, ma ti conosce profondamente e ti lascia vivere quest’innocente illusione, ripromettendosi di brontolare al momento opportuno!
Allora, vado in gita a Firenze, dicevo, Christian ha noleggiato un pulmino da nove posti e ho accettato con piacere di unirmi alla compagnia: Fa tanto “figli dei fiori”, un gruppo di amici in un furgoncino con gli zaini, on the road pieni di entusiasmo e un sogno lungo 42 km!
Penso alla mia prima gita scolastica: guarda caso a Firenze! Avevo 13 anni e di quel viaggio ricordo il pigiama party in camera di notte, all’insaputa dei professori. Ovviamente il massimo della trasgressione per dei tredicenni degli anni 70. Gli Uffizi e tutto il resto sono scivolati nell’oblio, se mai quella volta fossero entrati in qualche angolo della nostra memoria.
Un’altra possibilità l’ho sfiorata a 18 anni, frequentavo l’ultimo anno di liceo e verso maggio ci preparavamo al viaggio d’istruzione, meta….indovinate? Firenze, provincia di Firenze! Un’inopportuna quanto improvvisa varicella ha sancito il mio ingresso alla maggiore età e mi ha escluso dai giochi ! Firenze l’ho vista in cartolina, quella che mi hanno inviato dalla gita quei bastardi dei miei compagni di classe!
Non molti anni dopo ero una supplente di educazione fisica, e la gita a Firenze l’ho vissuta dall’altra parte della barricata. Eh, l’idea di trasgressione con l’età si era molto modificata, e in quell’occasione il party l’ho fatto, ma dentro al pigiama di un altrettanto giovane collega a cui come a me, sfuggiva ancora il concetto di professionalità. Di giorno irreprensibili prof e di notte irresponsabili fedifraghi nei confronti del ruolo istituzionale che ricoprivamo. Che risate, la situazione era mitica, la clandestinità rendeva le sensazioni memorabili e ancora una volta, più entusiasmanti della galleria degli Uffizi.
Ma questa è storia passata, ora mi preparo a vivere la mia prossima maratona e sinceramente vorrei fare meglio della precedente, lo ammetto anche se faccio finta di nulla.
Forrest Gump seduto sulla panchina con la sua aria trasognata, recita: “la vita è come una scatola di cioccolatini , non sai mai quello che ti capita!” Caro Forrest, quante volte ho guardato il tuo film! Come si può non rubarti questa perla di saggezza e riadattarla ? Hai perfettamente ragione, la maratona è come una scatola di cioccolatini: la vedi, è piuttosto irraggiungibile, sul ripiano più alto e desideri prenderla, ma tu ancora non ci arrivi; poi la tocchi con mano, prima timorosamente, poi con sicurezza l’afferri, la apri e finalmente scarti il primo cioccolatino: è buono, ti ha dato sensazioni contrastanti al palato, l’hai ingoiato un po’troppo in fretta, senza rendertene conto. Ti viene voglia di prenderne un altro, per vedere com’è, sentire se il sapore diverso: è sempre cioccolata, ma c’è cioccolata e cioccolata, non è tutta uguale ! E un altro ancora, magari è più buono! Oddio, si è aperto un baratro, è l’ingordigia, ti prende inaspettatamente, cerchi di contrastarla ma non ce la fai, la produzione di endorfine generate da tutto quel cacao, ti porta a dimenticarti di quel vecchio saggio del Senso della Misura, e a finire tutta la scatola, insieme a buona parte dei Sensi di Colpa.
I Sensi di Colpa muovono veramente il mondo se ci pensate, ma ci rendono anche la vita terribilmente briosa, concedendoci momenti in cui l’altalenante dualismo tra “quellochesidevefare” e quello “chenonsidovrebbefare” è inebriante, e rende più che mai magica questa sensazione. Proprio in questo particolarissimo stato, ho affrontato l’ultimo lungo a due settimane dalla maratona di Firenze. Ho marinato la scuola (io sono l’esempio che anche gli insegnanti lo possono fare), per poter disporre di tre ore di tempo senza dare nell’occhio in famiglia. Quel sabato mattina sono partita da casa mia come se andassi a scuola, avevo addirittura l’agenda e il pc con me; ma all’incrocio la macchina ha imboccato un’altra direzione. Ho raggiunto i miei compagni di squadra, compiuto la metamorfosi nell’intimità della mia macchina e, crisalide diventata farfalla, sono apparsa nel parcheggio del Lidle, con le mie sobrie scarpe fucsia nuove e l’antivento di un fastidioso giallo limone: ero pronta, iniziava il “lungo”. Un sole bellissimo ci accompagnava, il clima dapprima rigidino, si è ammorbidito, concedendo a noi podisti la migliore delle estati di S.Martino. Correvo e chiacchieravo, fiato permettendo, con i miei amici e una sensazione di leggera euforia mi percorreva dalla testa ai piedi e viceversa. Quando da ragazzi si “bruciava” scuola, il pensiero ricorrente era quello di non esser beccati da qualcuno, ma a dire la verità non era proprio una preoccupazione, era un braccio di ferro con la sorte, un viaggiare sul filo del rasoio che rendeva succosa la situazione. Anche quella mattina pensavo con piacere sadico che se mi avesse visto qualcuno correre per le strade libera e felice, non mi sarebbe poi importato più di tanto, l’importante era godere in quel momento e assaporare la libertà di un sabato mattina che doveva essere impiegato in modo ben diverso. Sono tornata a casa mia puntuale, alla stessa ora di tutti gli altri sabati mattina: avevo l’agenda, il pc….insomma ero tornata crisalide! Solo il Garmin conteneva un’inconfutabile prova della mia “colpevolezza” ma l’“Orso” per fortuna non è il Ris di Parma e ho definitivamente archiviato il caso! Anche gli allenamenti settimanali sono stati portati avanti nella diciamo pure “riservatezza” che avevo volutamente scelta per questa occasione: Spenti i riflettori su Berlino dove si era compiuta la mia grande festa, ho annunciato il mio rilassamento, fatto di domeniche di pigrizia, la mia consacrazione totale a famiglia e lavoro, ma soprattutto di astensione dalla corsa, per permettere ai miei tendini il dovuto riposo; come potevo dichiarare apertamente che il dubbio di poter migliorare la prestazione di Berlino si stava insinuando in me in modo inequivocabile? Come potevo privarmi del piacere amaro di vivere questo dubbio da sola, cullandolo in seno come una serpe?
Un orario scolastico non particolarmente funzionale ha reso possibile la mia vita parallela di maratoneta clandestina: buchi su buchi che avrebbero stizzito anche la deamicisiana maestrina dalla penna rossa, mi sarebbero serviti per correre. Uscire con lo zaino del cambio era un gioco da ragazzi: la mia gente esce all’alba, in direzione di mete lavorative e scolastiche extraurbane; quando mi chiudo la porta alle spalle io, la mattina nessuno mi vede, e potrei trasferire da casa indisturbata, l’intero guardaroba estate-inverno. Ho trovato anche un complice: Andrea del baretto vicino alla scuola, è un runner e ci conosciamo da un po’: con la benedizione di S.Barbara (sua adorabile moglie) che lo sostituisce la mattina dietro il banco del bar, si allena con me due volte la settimana. Correre assieme a lui è rilassante, mi fa compagnia (ormai, da quando c’è la squadra correre da soli è diventato più triste ) e con la sua pacatezza mi fa pure da guru, a lui infatti confesso apertamente qualche ansia da prestazione! E forse lui non lo sa, ma ha il potere di rassicurarmi, in ambito podistico, naturalmente.
Fra un po’ di tempo, si parla di ore ormai, questa attesa sarà finita ! Domani parto per Firenze, l’ho già detto, vero? E’ come il sabato del villaggio, stesso spirito. Mi chiedo cosa farò dopo la maratona: farò Outing? O terrò per me il mio Segreto? Se farò un buon tempo, magari,con la migliore delle facce toste dichiarerò: “ero lì, è caduto un pettorale e l’ho raccolto, sono arrivata al traguardo, senza rendermene conto… ma non pensavo, non mi ero proprio allenata eh!”
Oppure, se peggioro, mi ritiro, o scivolo sulla classica buccia di banana nelle vicinanze di un ristoro, vivrò la ferita in dignitoso silenzio, consacrando alla riservatezza queste giornate di vita parallela da maratoneta clandestina. Domani prenderò dalla scatola un altro cioccolatino.
altri racconti di Raffaella Rossi: "Il panettiere di Altamura"
Raffaella Rossi
Sono Raffaella Rossi, lavoro a Conegliano dove ho una cattedra di scienze motorie e sportive in un istituto superiore cittadino. Mi occupo della prepara zione atletica di una società sportiva dilettantisca ,la Scuoladimaratona di Vittorio Veneto. Ho curato una raccolta di racconti di autori vari, in un libro "I racconti della scuoladimaratona" uscito nell'agosto del 2011 e scrivo per hobby.Allegati
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