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24/05/2012

Il racconto di Elena - Domenica 20 maggio 2012

RUNNERS&WRITERS
Anno 1 - numero 20
Giovedì 24 maggio 2012

Domenica 20 maggio 2012

Ieri, ore 6:45, la voce insolitamente grave del conduttore radiofonico mi sveglia con una frase sibillina: ”gli operatori presenti sul posto riferiscono di scene da film”.
Pausa. Una pausa breve che mi sembra lunghissima in cui prendo a frugare nella mente, con ansia e sconforto, alla ricerca della causa, del motivo che possa avere indotto a pronunciare quella frase così carica di costernazione e tristezza. L’ennesima strage del sabato notte sulle strade, un altro attentato, una calamità naturale? Penso quale di queste terribili ipotesi si sia verificata e di quale portata sia da essere riportata con tale urgenza e priorità dalla radio locale?
Abbiamo un’altra testimonianza in diretta, no, è caduta la linea”.
Un’altra testimonianza? Significa che ce ne sono già state altre, a quest’ora del mattino? Chi e in quanti possono già essere in piedi a quest’ora, se non quelli che come me e Fabio si sono svegliati per andare a correre la Strapanaro? E poi a riferire di quale evento di cui io non sia venuta a conoscenza prima di spegnere la tivù ieri sera? Aspetto che la voce impostata dello speaker riprenda a parlare, in un’attesa che sembra non finire.
Abbiamo una ragazza in linea, ciao come stai, raccontaci com’è la situazione lì”.
Una vocina stanca e tremolante, a volte interrotta dalla commozione, articola pochi suoni che mi percuotono le orecchie e il cervello come un martello.
Qui a San Felice ci sono macerie ovunque”.
Ho un sussulto al cuore. San Felice sul Panaro è vicino, è nella pianura modenese, è nella “bassa”, nel nostro gergo. Si tratta forse di una bomba?
Il campanile della chiesa è crollato”.
Un attentato di matrice islamica?
“Siamo scappati tutti dalle case, abbiamo preso le macchine e siamo venuti qui in piazza dove ci hanno detto di rimanere perché c’è divieto di rientrare a casa per il pericolo di altre scosse e nuovi crolli”. Un terremoto. La voce parla di macerie e crolli. Stento a crederle. Sono sveglia e lucida e sono nel mio letto, nella mia casa a poche decine di chilometri dal luogo da cui questa voce mi arriva, ed è tutto a posto. Il profumo del bucato che ho ritirato ieri sera dal terrazzo ha raggiunto la camera da letto, da quando Fabio ha aperto la porta sul corridoio per dirigersi in bagno, pochi istanti prima di udire queste poche frasi. E’ tutto a posto. Si stanno sbagliando, qui non c’è odore di polvere e macerie. Lo speaker rientra di nuovo con tono sostenuto. “Le vittime accertate finora sono 3”.
Vittime. Fabio esce dal bagno e apre la porta del soggiorno. Ora anche il profumo dei biscotti che ho sfornato ieri sera mi solletica le narici. E’ tutto a posto. Mi sto sbagliando, stanno parlando di un altro San Felice, un paese senz’altro molto più lontano da qui dove purtroppo un terremoto ha portato morte, distruzione e disperazione, lasciando dietro di sé pianti, suppliche di aiuto e muri lacerati che puzzano di morte e vacillano sopra il cielo come mannaie.
La gente è giustamente molto impaurita, i vigili del fuoco in queste ore hanno ricevuto una pioggia incessante di chiamate e anche le nostre linee telefoniche sono intasate, ora in attesa di ripristinarle per dare spazio alle testimonianze di chi sta vivendo queste ore di terrore, mandiamo un brano musicale”.
Paura. Scendo dal letto per precipitarmi ad accendere la tivù, per avere qualche notizia in più rispetto a quelle frammentarie che la radio locale riesce a fornire.
Sono immagini quelle che raccontano ciò che è successo alle 4:04 della notte appena trascorsa.
Immagini a tutto schermo, commentate dal giornalista che gode di un’ottima parlantina, di fronte alle quali rimango stupita e anch’io, ora, ho la sensazione di barcollare.
Immagini vicine di un paese familiare che dalla mia finestra non riesco a scorgere ma so essere poco oltre Modena di cui invece riesco a vedere la cima della Ghirlandina del Duomo.
Immagini rubate alla mia memoria, deturpate.
Immagini che sono casa, violate.
Immagini dove affondano le mie radici, distrutte.
Immagini che così mal ridotte non avrei mai voluto vedere.
San Felice, Finale Emilia e Mirandola sono le zone più colpite da un terremoto di cui non mi sono nemmeno accorta. Che per quanto possa avere scrollato la terra, più volte, non mi ha nemmeno svegliata. Un terremoto violento che non mi ha nemmeno sfiorata. Un terremoto brutale e mortale che è scivolato sotto la mia casa senza lasciare tracce e farmi paura. Un terremoto che il mio destino ha reso innocuo rispetto alle tragiche conseguenze che invece ha portato altrove. Altrove, a casa. Altrove, nelle piazze, nelle vie e nei negozi che hanno colorato le mie Domeniche con i mercatini, le fiere e le corse podistiche. Altrove nelle famiglie che probabilmente avrò incontrato occasionalmente qualche volta.
Apro la finestra che incornicia la bassa. L’aria è carica di umidità e non vedo la Ghirlandina, o forse non c’è più? Ci sono alte colonne di pioggia e nebbia che la coprono, o forse sono grigi fusti di fumo? C’è uno strano vento, vedo le masse di vapore acqueo spostarsi rapidamente e sparire oltre i lati del rettangolo che circoscrive e limita la mia visuale e vedo alcune gocce punteggiare l’asfalto. Una nuova folata di vento e vedo anche la Ghirlandina.
Sono strane le sensazioni che provo ora, di estraneità e di profondo rammarico insieme. Di gratitudine nei confronti della stanchezza che mi ha annichilito e abbandonato al sonno più inconsapevole e di sommo dispiacere per la morte, la distruzione e la paura che hanno colpito la mia gente. Di annientamento e di speranza. Ora che la pioggia da diverse ore cade e lava la mia terra ferita, l’unico desiderio che ho è quello di poter abbracciare tutte le mie persone, poterle rassicurare e restituire loro un po’ del colore che le rendeva così belle e così solari con poco.
Spero, col mio lavoro, di poter dare una mano concretamente alla mia gente, ora che la forza di volontà, la caparbietà e la generosità, che da sempre la contraddistingue, da sola non basterà a rimarginare questo squarcio.

Elena Malvolti

Sono Elena Malvolti, ho 33 anni e vivo a Castellarano, tra le provincie di Reggio Emilia e Modena, con Fabio che, da alcuni anni, condivide con me la passione per la corsa, grazie alla quale ho conosciuto persone meravigliose e vissuto esperienze uniche. Sono geometra e nel mio lavoro, così come a casa e in famiglia, sono solerte, meticolosa e rompiscatole. Da quando corro, la Domenica mattina non è più consacrata all’ozio ma al lieto rituale che accompagna l’uscita da casa per l’ormai irrinunciabile sgambata insieme agli amici del gruppo podistico. Amo cucinare, leggere, sognare ad occhi aperti e guardare le cose da diversi punti di vista. Non ho attitudine alla scrittura ma, a volte, ricorro a quella introspettiva per osservarmi da fuori e avere l’illusione di far rallentare il tempo. Credo di meritare ciò che ho e non desidero altro, rispetto a ciò che ho, che non possa meritare.



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