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Edizione 2007

Le mie riflessioni sull'edizione del 4 novembre 2007

Le mie riflessioni sull'edizione del 4 novembre 2007


Dopo tanti anni che vivo in presa diretta la maratona di New York, ancora mi sorprendo e mi meraviglio nel verificare come l’intera città vive con trasporto ed entusiasmo questo avvenimento sportivo. E con invidia mi piacerebbe che così tanto interesse, da parte della gente comune, lo riscontrassero anche le nostre corse podistiche e le maratone. Fa impressione vedere il dispiego di agenti di polizia e di volontari che forniscono il loro prezioso contributo alla corsa più famosa e ambita al mondo. Anche in questa edizione della maratona ho voluto assistere, nella zona del Central Park, al transito dei podisti che hanno completato la gara tra le 4 e le 5 ore. Fa particolare piacere verificare quanto pubblico è ancora allineato lungo il marciapiede per applaudire quei maratoneti che transitano nel doppio del tempo, ed anche di più, impiegato dai top runner. Senza dubbio i big hanno un’attenzione particolare, ma il pubblico applaude, incita, supporta anche quelli che atleti non lo sono proprio e danno il meglio delle proprie energie per tagliare il traguardo. Insomma, lungo le strade dove transita la maratona della Grande Mela è festa per tutti, e non si riesce ad evitare il contagio; ti trovi quindi ad incitare tutti indistintamente perché sai quanto sia importante per loro avere il tuo supporto; e non sei quello fuori del coro, come può capitare di sentirti nelle corse di casa nostra. E’ utopia sperare che un domani anche da noi le maratone possano suscitare nella gente comune un altrettanto contagio come quello della corsa della Grande Mela… ma non solo! Perché ciò che si vive lungo le strade della maratona di New York, si verifica anche a Boston, Chicago, Los Angeles, Washington.
Ed è anche bello pensare che lo sforzo, le fatiche e l’entusiasmo dei campioni che hanno da poco tagliato il traguardo è analogo a quello del maratoneta comune. Oggi mi sono trovato a commentare con Pertile e Baldini la loro gara a pochi metri dal traguardo, sul quale transitavano ad ogni minuto svariate decine di corridori. Ed è in questo contesto che ti rendi conto che ciò ha appena fatto il campione, lo sta facendo anche il corridore dilettante: dare il massimo di sé in una corsa che non è solo un gesto sportivo ma una filosofia di vita. Sono più che certo che la determinazione dimostrata dai vincitori di questa 38a edizione della maratona di New York si può trovare anche nelle attività quotidiane della loro vita.
Il podista è una persona speciale, diversa dalle altre non solo perché sa affrontare e gestire la fatica ed il disagio (che a volte diventa sofferenza) per percorrere oltre 42 chilometri, ma perché sa darsi importanti obiettivi, ricerca particolari motivazioni, non si arrende facilmente. E’ facile pensare che tali caratteristiche siano prerogativa solo dei vincitori, ma poiché tagliare il traguardo sempre per primi è impossibile, il maratoneta è forte anche quando non vince: egli sperimenta differenti stati emotivi, non sempre positivi ovviamente, ma ha la capacità di trasformare le difficoltà in occasioni di crescita personale.
Tagliare il traguardo dopo il vincitore non significa necessariamente una sconfitta; negli sguardi e nelle parole dei campioni che mi passano di fianco mentre sto parlando della loro gara con Pertile e Baldini, noto il sorriso anche di Wami e Goumri, secondi rispettivamente nella competizione femminile e maschile. Ma anche il sudafricano Raamala, che ha fatto di tutto per staccare gli avversari, ma è arrivato “solo” terzo, scherza e ride con degli amici. La terza classificata, già vincitrice di due edizioni di questa maratona, la lettone Procopchuka, pur affaticata e stanca, sorride alla gente che la saluta. Il piazzamento del campione olimpico, il nostro Baldini, oggi classificato “solo” quarto, potrebbe far pensare ad una prestazione negativa, mentre Stefano è soddisfatto per quanto ha saputo fare. E che dire della doppia campionessa mondiale (Parigi 2003 e Osaka 2007), la keniana Ndereba, anche lei “solo” quarta; commenta allo stesso modo di Baldini un analogo piazzamento, e mi ringrazia con un saluto, dopo che le ho fatto fare un autografo per mia figlia.
Insomma, è difficile vedere qualche campione non contento di aver tagliato il traguardo. Per carità, ci può essere un po’ di rammarico e delusione per chi non è riuscito a conseguire quanto si era prefissato, ma non si può non essere contenti di aver tagliato comunque il traguardo. La stragrande maggioranza lo fa con il sorriso, con le braccia al cielo, con gli occhi chiusi per sentire meglio le forti emozioni che ti nascono dentro. Altri corridori lo fanno invece stringendo i denti, con evidenti segni sul viso che ti fanno comprendere il loro disagio, che ti fanno capire quale sia la sofferenza che stanno provando. Ma tagliare il traguardo è sempre un’impresa, una gran bella impresa, che merita un plauso indistintamente dal tempo impiegato. E sembra che alla maratona di New York il piacere sia particolare. Si deve proprio provare per capirlo, perché le parole, anche quelle più indicate, non riescono a farlo veramente.

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Classifica del gruppo Pizzolato [46,75 kB]

Il racconto di Romano

Il racconto di Francesco e Nicola

Le foto e i commenti del viaggio a New York 2007 - pagina 1




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