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16/03/2013

Il racconto di Zeno - Miraggi

RUNNERS&WRITERS
Anno 2 - numero 59
Sabato 16 marzo 2013

Miraggi

Odio l'estate. La birra che sorseggio è calda, amara: la schiuma straborda sulle dita, il gusto è rancido, decisamente marcio. Larghe macchie di sudore appiccicaticcio s'allargano sotto le ascelle. Risistemo il colletto, fradicio. Fottuto caldo. Bevo un altro sorso, per poco il bicchiere non mi scivola dalle mani sudate.
Il barista dà una ripassata all'impasto di gel, sporco e sudore dei suoi capelli, spinna svogliato l'ennesima birra bollente.

- Dicono che cambierà il tempo – Un mio amico, compagno in bevute, è in vena di parlare: alza un dito, tiene coll'altra mano il boccale di birra; piscio caldo... Birra, mi correggo, gocciola per terra. - I meteorologi hanno annunciato un...- S'interrompe, aggrotta la fronte. Posso immaginare i suoi pensieri sbattere braccia e piedi nel tentativo di mantenersi a galla nel mare d'alcool che abbiamo in corpo- Fronte temporalesco-
Sorride, soddisfatto.
- Speriamo, speriamo. Dio, qui si cuoce – Termino la birra in fretta, ne ordino un' altra con segno del pollice al barista. Serpentine di sudore mi scorrono lungo le tempie, dipingono strani arabeschi nel legno del bancone. Immergo il grugno nella birra, per poco non sputo tanto fa schifo.
Fosse almeno fresca... Fuori dal bar, gruppetti di palestrati fanno mostra dei muscoli, abbronzandosi al sole. Fighetti del cazzo. Qualche testa galleggia nel mare, bizzarra lontana visione.
- Quando arriva Elizabeth, hai detto?- chiedo per l'ennesima volta all'amico. Tiro fuori il cellulare, l'appoggio al bancone rovente. Nessun messaggio, nessuna suoneria. Morto cotto, proprio come il sottoscritto.
- Alle cinque, no? Te l'ho già detto, ricordi?-
- Me l'ha già detto, gliel'ho già chiesto. Ma questo tempo, questa dannata calura. Distorcono il tempo, allungano le ore. Mi passo una mano davanti agli occhi. La realtà muta, con tutto questo caldo. Guardo la birra. La ricordavo piena, dannazione. Ne ordino un'altra. Rispondo.
- Già. Ma sono le cinque e mezza, vecchio mio.-
L'amico batte una pacca sulla spalla, consola: - Arriverà. Abbi fede.-
Annuisco. Bevo in fretta un paio di sorsi. Quanto- penso- sarebbe figo se fosse già autunno? E se il bicchiere che stringo fosse un calice in vetro lavorato, e non plasticaccia bianca? E se invece di rumorose auto, fossero le carrozze a rotolare sul selciato? E se invece di questa lurida camicia azzurra indossassi un panciotto di raso, una tuba nera, l'elegante elsa di un bastone da passeggio nella mano? Passo la mano sulla fronte, la detergo... Asciutta.
L'amico mi sorride, alza il calice pieno di vino e sorseggia con eleganza un breve sorso. Gli orli in filo d'oro della giacca a code luccicano sotto la luce. Appoggio il calice- vetro lavorato- sul bancone.
Accanto al bicchiere appare poggiato un cappello a cilindro, lucido feltro nero.
Dalla vetrata del bar, scorgo la strada. Selciato a porfido, continuo- costante rumore di zoccoli e cavalli e gentiluomini in ghetta e tuba e fanciulle in crinolina e corsetti.
E' un attimo, una frazione di secondo. Il barista mi porge la quarta (o quinta?) birra.
Appoggio le labbra al bicchiere... ed è plastica. Nascondo una ciocca umida dietro l'orecchio. Caldo di nuovo. Birra rancida. Di nuovo. Ventunesimo secolo, welcome to hell! Sbottono la camicia bagnata.
Fuori, un autobus scoreggia in avanti, vomita una torma di ragazzini urlanti.
- Ehi! Ehi!- L'amico mi batte il pugno sulla spalla. - Guarda, Elizabeth è arrivata!-
Mi asciugo la fronte per la terza volta. Fra i palestrati stesi come pezzi di carne a rosolare al sole, le vecchie dalle tette rifatte, i bambini piccoli demoni ricoperti di sabbia avanza una sottile, flessuosa figura. Bevo un primo sorso. Passo dopo passo Elizabeth si avvicina, i capelli rossi come ardenti braci alla luce del sole. Bevo un secondo sorso. Elizabeth si protegge dal sole con un parasole color panna, affannoso respiro sotto il corsetto vittoriano. Bevo un terzo sorso. Un'improvvisa brezza spazza il bar, quando Elizabeth entra nel bar. La sottile figura a S di gonna e bustino si piega in un saluto. Per un effimero attimo mi sento rivivere.
- Pensavo... Pensavo avessi cambiato idea- Borbotto.
Sorride, strizza un occhio. Io accenno un baciamano, rifiuta trillando di sorpresa.
- Sempre così fuori dal mondo, amico mio!-
La mano inguainata nel guantino nero che stavo per baciare scompare, mi rendo conto di come Elizabeth indossi una T-shirt fabbricata a macchina, tristi pantaloncini tagliati al polpaccio. E fa caldo. Di nuovo. Agguanto il bicchiere, lo trovo vuoto.
- Barista, un'altra birra!-

altri racconti di Zeno Saracino: "Gioco di Specchi"

Zeno Saracino

Sono Zeno Saracino, svogliato studente alla facoltà di lettere e filosofia di Trieste.
Nel tempo libero (e non) coltivo una distruttiva passione per la scrittura, sia nel campo del giornalismo che della narrativa.

Il mio umile blog:
http://zenosaracino.blogspot.it/



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