Running Service - Allenamento, tabelle e corsa - Winning Program S.a.S.

Per tutti quelli che amano correre

Tutta l'esperienza e la passione di una vita di corsa.
Io apro le strade che gli altri percorrono

Archivio racconti

21/03/2017

Il racconto di Andrea - Delitti senza colpevole

RUNNERS&WRITERS
Anno 6 - numero 157
Martedì 21 marzo 2017

Delitti senza colpevole

Una fredda sera di fine novembre Cristian e Claudia stavano ultimando i preparativi per la cena alla quale avevano invitato Franco e Alice, una coppia di amici. “Hai messo gli asciugamani puliti in bagno?” aveva chiesto Cristian mentre terminava la cottura di una pietanza. “Tutto a posto …. e ho anche messo lo zerbino nuovo fuori dalla porta d'ingresso” era stata la pronta risposta di Claudia. Era dal primo pomeriggio che lavoravano per preparare quella che nelle loro intenzioni doveva essere una cena memorabile: ci tenevano moltissimo (Cristian in particolare) a fare bella figura nei confronti degli amici e per questo, ogni volta che invitavano qualcuno, curavano nei minimi particolari ogni dettaglio.

Alle 19:25 circa era squillato il telefono e Claudia si era precipitata a rispondere pensando che si trattasse di sua madre che chiamava a quell'ora quasi tutti i giorni. “Ciao mamma, cosa mi racconti oggi?” “Ciao Claudia, sono Alice, non tua madre. Volevo avvertirvi che siamo in ritardo perchè abbiamo forato una gomma in un tratto di strada privo di illuminazione e Franco dice che per sostituire la ruota ci vorranno circa quindici minuti. Saremo lì tra circa venticinque minuti”. “Nessun problema. Mi dispiace per voi. Forare con questo tempo è una vera sfortuna. Puoi dire a Franco di fare con calma perchè l'importante è montare correttamente la ruota e noi non abbiamo fretta”. “Ok, ci vediamo tra poco”.

Chiusa la comunicazione si era diretta in bagno per completare il trucco, mentre Cristian, terminata la cottura di tutte le pietanze, si era seduto sul divano e aveva acceso il televisore per ingannare l'attesa.
Nello stesso momento Gina, la vicina di casa, stava preparando la cena predisponendo tutti gli ingredienti necessari per cucinare delle cotolette impanate e fritte. Appena scoperto che mancavano le uova aveva urlato due imprecazioni che avrebbero fatto arrossire il più volgare degli scaricatori di porto, poi, accortasi che non tutto era perduto, aveva chiamato il marito: “Alberto, vai da Cristian e Claudia e chiedi loro se hanno due uova da darci. Digli che domani vado a fare la spesa e ne compro una confezione intera anche per loro”.
Il povero Alberto in quel momento era comodamente seduto sul divano e stava guardando una partita di calcio inglese assai interessante. Quando aveva sentito l'ordine della moglie aveva imprecato mentalmente e aveva anche tentato di opporsi in modo goffo alla richiesta: “Non posso farlo, ho messo le pantofole che non sono adatte per uscire in una serata come questa”. “Che cavolo dici. Metti un paio di scarpe e spicciati a fare quello che ti ho detto se vuoi cenare”.
Alberto aveva solamente potuto alzarsi, calzare le scarpe, indossare un giaccone pesante e uscire per recarsi dai vicini. Sapeva per esperienza che opporsi agli ordini di Gina non portava nulla di buono.

Mentre Alberto si preparava per uscire, Cristian aveva sentito suonare il campanello e si era precipitato ad aprire la porta pensando che gli amici fossero giunti con qualche minuto di anticipo rispetto a quanto preventivato. Aveva spalancato il portone con un gran sorriso stampato sul volto. Appena riconosciuto l'uomo che aveva suonato l'espressione era mutata. Con tono rabbioso aveva iniziato a dire: “Tu? Cosa sei venuto a fare? Vattene imme....”. Non aveva terminato la frase perchè l'uomo, senza dire una parola, aveva alzato il braccio e puntato la pistola che teneva in mano contro Cristian. Questi urlando “Nooo ... nooo ... fermo ..” aveva tentato di mettersi in salvo retrocedendo ma era riuscito a fare appena due passi prima di essere colpito alla fronte da un proiettile. Era stramazzato al suolo e, appena toccato il pavimento, una seconda pallottola lo aveva raggiunto al cuore. Claudia, che aveva sentito le urla e il tonfo, si era precipitata per vedere cosa stesse capitando al compagno e aveva lanciato un urlo appena lo aveva visto riverso sul pavimento. Aveva appena fatto in tempo ad alzare gli occhi prima di essere colpita a sua volta alla fronte e, appena caduta, una seconda volta al cuore.

Quando Alberto, che aveva impiegato alcuni minuti per decidere cosa indossare, era finalmente uscito di casa aveva incrociato un uomo con un lungo e ampio cappotto nero e uno strano cappello a tesa larga, anch'esso nero, che si allontanava con passo spedito. Senza lasciarsi distrarre dall'abbigliamento eccentrico dell'individuo, aveva suonato il campanello dei vicini, sperando di ottenere quanto desiderava in poco tempo. Aveva lasciato passare circa trenta secondi, poi aveva premuto di nuovo il pulsante, ma anche questa volta non aveva ottenuto alcuna risposta. Pensando che i vicini fossero usciti lasciando le luci accese, stava per tornare indietro quando un'auto si era fermata proprio vicino a lui ed erano scesi un uomo e una donna. Appena capito che erano diretti a casa di Cristian e Claudia, si era avvicinato ai due. “Buonasera. Se cercate Cristian e Claudia temo che abbiate fatto un viaggio a vuoto perchè non ci sono. Ho suonato due volte ed atteso parecchio, ma non mi ha aperto nessuno. Evidentemente sono usciti dimenticando le luci accese”. “E' impossibile che siano usciti perchè aspettavano noi per cenare insieme. Li abbiamo chiamati circa venti minuti fa per avvertirli che avremmo tardato e Claudia ci ha detto di non preoccuparci che tanto loro erano al caldo. Tentiamo di suonare di nuovo: forse erano in bagno e non hanno sentito il campanello”. Detto questo Alice aveva premuto a lungo il pulsante e lasciato passare diversi secondi prima di rifarlo. Al terzo tentativo fallito tutti avevano deciso che c'era qualcosa di strano. “Io direi di entrare. Vado a prendere la chiave che tengono nascosta fuori casa. Un giorno Claudia mi ha mostrato dove la tengono. Tu Franco cosa ne dici? Potrebbero aver avuto un malore, anche se ritengo improbabile che possa essere capitato ad entrambi in contemporanea”.

Ottenuto il consenso dal marito e anche da Alberto, Alice aveva recuperato la chiave e aperto la porta. Appena visti i due corpi riversi a terra tutti e tre erano rimasti paralizzati, incapaci di qualsiasi reazione. A sbloccare la situazione, poco dopo, era stata Gina. Stanca di aspettare, era uscita col proposito di prendere a randellate verbali il marito inconcludente, incapace persino di procurarsi due uova dai vicini di casa. La donna, appena vista la situazione, era tornata di corsa a casa per telefonare al 118 e, subito dopo, alle forze dell'ordine.
Dopo dieci minuti era giunta a sirene spiegate un'ambulanza. Appena il mezzo si era arrestato, il medico era sceso di corsa e si era precipitato all'interno dell'abitazione. Appena visti i due corpi riversi a terra aveva capito che il suo intervento non era necessario: per Cristian e Claudia non c'era più nulla da fare. Pochi minuti dopo era arrivata un'auto della polizia. I tre poliziotti, constatato che si trattava di duplice omicidio, avevano contattato la centrale per chiedere l'intervento della scientifica e per chiedere istruzioni su come comportarsi nell'immediato. Gli era stato ordinato di non toccare nulla e di identificare immediatamente i quattro testimoni presenti.Un'ora dopo gli agenti della scientifica erano già al lavoro all'interno della casa, i due corpi stavano per essere trasportati all'obitorio dove il giorno successivo sarebbe stata eseguita l'autopsia e il commissario Giuseppe Linetto, al quale erano state affidate le indagini, dopo una breve ispezione sulla scena del crimine, stava chiedendo a Franco, Alice, Alberto e Gina di seguirlo al commissariato per fare una deposizione.
Il cinquantaduenne Linetto era considerato da molti un ottimo investigatore e questo a ragione visti i numerosi successi ottenuti nelle indagini a lui affidate. Oramai neppure lui sapeva con esattezza quanti erano i casi che aveva risolto. La sua abilità aveva zittito tutti coloro che, facendo della facile ironia, all'inizio della carriera lo avevano ribattezzato “L'inetto”.

Dai quattro il commissario aveva ottenuto alcune informazioni utili: Alberto e Gina avevano affermato che i vicini gestivano un chiosco di piadine in un paese vicino, che invitavano abbastanza spesso amici a cena e si comportavano in modo riservato, quindi li conoscevano in modo superficiale. Di utile alle indagini Alberto aveva detto che prima di arrivare al campanello aveva incrociato un individuo di corporatura robusta che indossava un cappotto scuro (non sapeva se nero, blu o marrone) e uno strano cappello a tesa larga. “Non l'ho visto in faccia, quindi non potrei riconoscerlo” aveva risposto ad una precisa domanda del commissario. Linetto aveva concluso dicendo: “Potete andare. Grazie della disponibilità. Se dovessi avere di nuovo bisogno di voi vi contatterò”.
La deposizione di Franco e Alice aveva fornito all'investigatore più informazioni utili: “Ultimamente la loro attività non andava bene a causa dell'apertura di un concorrente a poca distanza dal loro chiosco. Claudia una sera mi ha confidato che erano stati costretti a chiedere soldi in prestito per coprire lo scoperto che avevano accumulato in banca ed evitare così di dover chiudere. Purtroppo il tipo, del quale non ha voluto dirmi il nome, si è rivelato un usuraio ed ora non sapevano più come uscirne”. “Confermo quanto ha appena detto mia moglie. Cristian ne ha parlato con me una sera al telefono. Mi diceva che voleva continuare ad invitare amici a casa per dare un parvenza di normalità ad una situazione che normale non era più. Non mi ha detto se ha ricevuto o meno minacce dallo strozzino, ma alla luce di quanto accaduto ….. “ “Questa potrebbe essere una traccia importante. Cercherò di individuare questo soggetto e di scoprire se ha a che fare con gli omicidi” era stata la replica di Linetto. “Un altro possibile sospetto potrebbe essere Mario, il fratello di Cristian. In passato hanno litigato diverse volte per motivi economici e sono anni che non si parlano. Anche se sono … ero suo amico devo dire che è stato Cristian a non rispettare gli accordi quando hanno acquistato una casa per la loro madre e Mario si è ritrovato a dover pagare anche la quota che doveva essere a carico del fratello. La cosa lo ha reso furioso e, anche se Mario è un tipo tranquillo, potrebbe ….. anche se non siamo a conoscenza di minacce …”. “Capisco cosa vuole dire. Domani convoco il fratello per chiarire la sua posizione. Un'ultima cosa prima di lasciarvi andare: avete visto anche voi il soggetto con cappotto e cappello che Alberto ha notato quando è uscito?” Sia Franco che Alice avevano detto di non aver notato nessuno in giro, neppure con abiti diversi.

Il commissario, alla luce di quanto appreso, sperava di concludere le indagini in tempi brevissimi e riteneva sospettato numero uno l'usuraio, pur ritenendo che anche il fratello, spinto dalla rabbia, poteva aver commesso il delitto o, viste le modalità con le quali era stato compiuto, averlo commissionato ad un sicario. Erano le tre di notte e, sentendosi stanco, aveva deciso di andare a casa a dormire.
Il mattino seguente i suoi collaboratori si stavano attivando per investigare sul passato delle due vittime, per tentare di individuare colui che aveva prestato loro i soldi e per cercare eventuali altre tracce utili alle indagini. Il commissario aveva convocato nel suo ufficio Mario, il fratello di Cristian, che si era presentato con estrema puntualità. “Buongiorno. Scusi la domanda, ma è la prassi: lei è Mario Righetti nato a Faenza il 24 giugno 1953?” “Si, sono io”. “Innanzitutto le faccio le mie più sentite condoglianze per il lutto che l'ha colpita. L'ho fatta venire per farle alcune domande alle quali spero lei mi dia risposte utili alle indagini. Mi sa dire se suo fratello, o sua moglie, avevano dei nemici?” “Visto come sono finiti mi pare evidente che ne avevano almeno uno, ma io non sono in grado di avanzare ipotesi. Deve sapere che con loro, mio fratello e mia cognata, non mi incontravo da alcuni anni. Sono profondamente dispiaciuto per quanto è accaduto loro, ma mi creda: da persone così è meglio stare alla larga”. “Perchè dice questo?” “Circa otto anni fa decidemmo di comune accordo, io e Cristian, di acquistare una casa per nostra madre che viveva in affitto. Avremmo dovuto pagarne una metà ciascuno e divenirne proprietari concedendo a nostra madre l'usufrutto a vita. Qualche giorno prima della stipula mi ha chiesto se potevo anticipare anche la sua parte perchè, a suo dire, aveva titoli scadenti sette mesi più avanti e chiedendo un rimborso anticipato avrebbe subito una forte decurtazione del valore. Da sprovveduto ho accettato, ma quando, trascorsi i sette mesi, mi sono presentato per chiedere quanto dovutomi mi sono sentito dire da entrambi che non ricordavano di dovermi dei soldi. Da perfetto stupido non mi ero fatto firmare nulla per cui legalmente non ho potuto dimostrare niente e così ho regalato mezza casa a quei due. Pensi che ho speso tutto quanto avevamo risparmiato io e mia moglie, moglie che giustamente si è molto risentita nei miei confronti. All'epoca i nostri due figli studiavano ancora e a causa della mia ingenuità abbiamo faticato moltissimo per portare entrambi alla laurea. Ho tentato per diverso tempo di ottenere quanto dovutomi, a volte con litigate furiose, ma sempre inutilmente finchè cinque anni fa mi sono arreso. Da allora non ci siamo mai più incontrati, neppure casualmente, in giro o a casa di nostra madre”. “Prima di questo episodio eravate in buoni rapporti?” “Non troppo buoni perchè Cristian riusciva spesso a creare situazioni sulle quali discutere”. “E del lavoro di suo fratello e sua cognata cosa sa? L'attività funzionava? Avevano problemi?” “ Non so nulla. Come le ho detto da cinque anni non ci vedevamo e io non volevo sapere nulla”. “Le faccio l'ultima domanda prima di lasciala andare. Mi può dire dove si trovava ieri sera tra le 19:20 e le 19:40? …. non assuma quell'espressione allarmata. Sono certo che lei non ha nulla a che vedere con l'omicidio, che sono convinto sia stato commesso da un professionista, ma il mio dovere mi impone di agire così”. “Le dico subito che non ho un vero alibi. Io amo correre a piedi e ieri sera sono uscito di casa alla 19, minuto più minuto meno, e sono stato in giro per un'ora e tre minuti”. “Come fa ad essere così preciso sulla durata della corsa?” “Lei non è abituato a correre vero? Noi podisti senza orologio satellitare non riusciamo a starci. E' per questo che so che ho corso per tredici chilometri e trecento metri nel tempo che le ho detto. Mia moglie può confermare gli orari”. “Va bene. La ringrazio della collaborazione. Se avrò di nuovo bisogno di lei la contatterò. Ora può andare”.

Il commissario aveva deciso di verificare le dichiarazioni di Mario sull'allenamento effettuato, ma non chiedendo conferma alla moglie, bensì visionando i filmati delle telecamere presenti sul percorso che l'uomo aveva dichiarato di aver seguito. Aveva avuto la sensazione, mentre parlava con lui, che stesse nascondendo qualcosa. Sapeva che sarebbero serviti alcuni giorni per effettuare un accurato controllo delle immagini, ma non intendeva trascurare nessuna possibilità. Dopo una settimana, grazie ai controlli sui conti bancari delle due vittime e di Mario, erano giunte conferme e sorprese. La casa acquistata dai due fratelli era stata effettivamente pagata per intero da Mario come evidenziavano i bonifici effettuati nel periodo in cui era avvenuta la compravendita. La sorpresa era che tutti i conti delle due vittime, compreso quello utilizzato per l'attività, presentavano consistenti saldi attivi e questo smentiva le presunte difficoltà economiche con conseguente ricorso al prestito ottenuto da un usuraio. I due possedevano anche titoli e fondi per importi elevati. Tra gli accrediti sul conto di Cristian c'era un bonifico di settantamila euro effettuato qualche mese prima da un certo Angelo Montesi.

Dopo due giorni il signor Montesi era a colloquio con Linetto. Il commissario era andato subito al sodo chiedendo: “Perchè alcuni mesi fa ha bonificato una grossa cifra al signor Cristian Righetti?” “Perchè sono stupido e ingenuo. Mi aveva convinto ad entrare in società nella gestione del chiosco di piadine sostenendo che era stanco di lavorare tanto e voleva cedere, almeno in parte, l'attività. Mi ha chiesto quell'importo per il venti per cento e io ho accettato. Quando è giunto il momento di sancire i termini dell'accordo di fronte ad un notaio mi ha detto di non aver mai avuto intenzione di cedere una quota e che l'acconto lo considerava una donazione. Ho sporto denuncia e lui, di fronte al giudice, si è presentato con due tizi che hanno testimoniato che i settantamila euro erano un debito di gioco che avevo contratto con Cristian alcuni mesi prima di saldarlo. Il giudice ha dato ragione a lui e così ho dovuto pagare anche le spese processuali. So che è morto e le dico che non sono stato io ad ucciderlo solamente perchè non ho l'indole dell'assassino”. “Capisco. Mi può dire dove si trovava la sera che Cristian e la moglie sono stati uccisi?” “Ero ad una riunione di lavoro con alcuni colleghi coi quali sono anche andato a cena”. “Grazie, può andare”.

Il giorno seguente il medico legale aveva fornito gli esiti delle autopsie. I colpi mortali erano quelli alla fronte e le vittime erano state colpite al cuore quando erano già a terra. Nella stessa giornata era giunto anche l'esito della perizia balistica fatta sui proiettili recuperati. I colpi erano stati esplosi da una pistola munita di silenziatore e questo spiegava perchè nessuno dei vicini aveva udito rumore di spari, come risultava dalle dichiarazioni raccolte il giorno successivo. Queste informazioni avevano convinto ancora di più il commissario che i due omicidi erano stati eseguiti da un killer professionista, ma chi lo aveva ingaggiato e per quale motivo restava ancora ignoto. A parte i raggiri ai danni di Mario Righetti e di Angelo Montesi le indagini non avevano portato a scoprire nulla di importante a carico delle due vittime, a parte alcuni 'si dice' riguardanti un presunto spaccio di droga che non aveva trovato riscontri certi.

Quando le immagini delle telecamere esaminate avevano permesso di ricostruire il percorso seguito da Mario durante il suo allenamento era emerso che l'uomo avrebbe dovuto volare per poter commettere i due omicidi e completare il percorso nel tempo che aveva dichiarato e che le riprese confermavano. Inoltre dai rilievi effettuati dagli agenti della scientifica non era emerso nessun indizio che permettesse di collocare Mario sul luogo del delitto o nelle immediate vicinanze. Linetto era convinto che Mario fosse legato al duplice delitto, ma non aveva nessun indizio per avvalorare questa tesi. Dopo altri tre mesi durante i quali non era emerso nulla di nuovo aveva inserito tutta la documentazione riguardante i due omicidi in una cartella ancora vuota sulla quale c'era scritto: 'Delitti senza colpevole' e l'aveva riposta in un armadio sperando di potere, un giorno, apporre il nome del colpevole (o dei colpevoli) su quel fascicolo.

Diciotto anni dopo

Un assolato giorno di giugno Giuseppe Linetto, settantenne ex commissario di polizia, stava rientrando a casa dopo la consueta passeggiata mattutina che faceva tutti i giorni da quando era andato in pensione quando aveva incontrato il postino che, riconosciutolo, lo aveva fermato per consegnarli una raccomandata. Dopo aver firmato la ricevuta aveva preso la busta sulla quale era indicato quale mittente Mario Righetti. Aveva subito iniziato a leggere la lettera che conteneva la confessione del duplice omicidio avvenuto diversi anni prima.
'Caro commissario, se sta leggendo questa lettera significa che io sono morto. L'ho scritta un mese dopo aver commesso quello che sa e ho affidato la busta chiusa ad un amico fidato chiedendogli di spedirla alla mia morte. Nutrendo un profondo rispetto per lei ho ritenuto giusto farle conoscere come e per quale motivo ho commesso i due omicidi. L'ho fatto non per il raggiro sull'acquisto della casa per nostra madre, ma per un motivo molto più grave: qualche mese prima del fatto (definiamolo così) mia figlia mi ha detto di essere stata avvicinata dagli zii mentre si stava recando da un'amica: “Mi hanno detto che hanno bisogno di ragazze in gamba per consegnare delle bustine a casa di loro clienti. Ho immaginato che si trattava di spaccio di droga, viste alcune voci che avevo sentito in giro su di loro, e ho rifiutato. 'Ti concediamo un mese di tempo per prepararti. Una volta iniziato ci ringrazierai per l'opportunità che ti stiamo offrendo che ti farà guadagnare molti soldi. Ma non parlare con nessuno di quanto ti abbiamo appena detto altrimenti …. '. Non so cosa fare e ho tanta paura.”
Ho passato la notte sveglio a pensare e alla fine ho deciso di compiere il delitto. Grazie ad un amico ho trovato un lavoro per mia figlia a Torino dove difficilmente sarebbe stata rintracciata e ho iniziato a preparare l'eliminazione del problema. Si chiederà perchè non ho fatto denuncia. La risposta è semplice: in questi casi la legge interviene sempre quando è troppo tardi e inoltre non avevamo prove. Nei tre mesi successivi ho preparato meticolosamente tutta l'azione: ho provato alcuni percorsi per l'allenamento che mi avrebbe fornito l'alibi, cercando quello che mi avrebbe consentito di passare dalle tre telecamere presenti in tempi che avrebbero fatto pensare ad un ritmo di corsa costante. In realtà dovevo percorrere anche due chilometri e mezzo con una bicicletta acquistata ad un mercatino di cose usate e nascosta vicino ad una casa abbandonata. Sempre in quel periodo, non senza difficoltà, mi sono procurato l'arma con la quale mi sono esercitato in un bosco sulle colline. Volevo che il delitto apparisse come opera di un killer. Quando mi sono sentito pronto ho atteso il momento propizio per passare all'azione. Quella sera era perfetta grazie alla presenza della nebbia. Ho indossato capi tecnici con inserti rifrangenti per essere visibile agli automobilisti e sono partito. Arrivato alla bici ho indossato il cappotto di taglia abbondante per apparire molto più robusto, il cappello che mi avrebbe coperto anche il volto e un paio di stivali di gomma per coprire le scarpe da running. Ho messo in tasca la pistola con silenziatore dopo averla caricata e sono partito con la bicicletta. La tensione era alle stelle, ero assillato da mille dubbi, mi chiedevo se veramente sarei riuscito a sparare, se lo avrei fatto con la precisione necessaria, cosa avrei fatto se qualcosa fosse andato storto. Mi sono fermato a circa cento metri e camminando spedito sono andato a suonare il campanello. Fortunatamente in quel frangente ho ritrovato la freddezza necessaria e ad aiutarmi è stato il pensiero di mia figlia angosciata e costretta a vivere lontano da casa. Dopo neppure un minuto stavo di nuovo pedalando per tornare. Giunto nei pressi di un cassonetto ho inserito cappotto, cappello pistola e stivali in un sacco per l'immondizia e li ho gettati nel contenitore e poco dopo ho abbandonato anche la bicicletta che nessuno poteva associare a me. Ho ripreso a correre e sono passato sotto le ultime due telecamere nei tempi che avevo stabilito, mentre il cuore batteva molto più forte di quanto lo sforzo fisico richiedesse. Tutto era stato perfetto tranne un particolare: non essendo un violento il rimorso che ho provato immediatamente è stato fortissimo e immagino che mi accompagnerà per il resto della vita. Non ho altro da aggiungere.
Mario Righetti.'

Il commissario, terminata la lettura, aveva riposto in una tasca la lettera ed aveva sorriso amaramente. La sua intuizione era giusta: Mario era colpevole ma quel povero uomo aveva visto la propria vita rovinata da due pessimi individui e, anche se non lo giustificava, comprendeva la disperazione che lo aveva portato a compiere quel terribile gesto. Saputo dove era sepolto, aveva portato un fiore sulla sua tomba e mentre lo deponeva aveva silenziosamente espresso il desiderio che la sua anima riposasse in pace.

altri racconti di Andrea:
Il racconto di Andrea - Le lepri di Russi
Il racconto di Andrea - Tutto per così poco?
Il racconto di Andrea - A caro prezzo
Il racconto di Andrea - Un grande scrittore
Il racconto di Andrea - Tempo scaduto

Andrea Menegon Tasselli

Nato nel 1958 a Lugo di Romagna dove vivo tuttora, di professione bancario, podista da molti anni. Da circa tre anni scrivo racconti che toccano vari generi (umorismo, giallo, fantascienza) con la speranza che a qualcuno piacciano, conscio comunque di essere scrittore molto dilettante.
Le mie "opere" si trovano su questi siti:
http://www.braviautori.com/andrea-menegon.htm
http://www.lopcom.it/Monografie/andrea-menegon-tasselli1



Allegati

Commenti

Giallo avvincente

Ciao Andrea, ho letto oggi il racconto e mi è piaciuto molto il tuo modo di scrivere semplice e lineare. Complimenti!!

loris10/04/2017 12:52:31


Adeguamento normativa sulla privacy

Info privacy *
Ai sensi del Regolamento UE 2016/679 (GDPR) Ex D.Lgs. 196/2003 acconsento al trattamento dei miei dati personali secondo le modalità previste per legge
Leggi l'informativa privacy