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02/05/2017

Il racconto di Andrea - Tutto per così poco?

RUNNERS&WRITERS
Anno 6 - numero 160
Martedì 2 maggio 2017

Tutto questo per così poco?

Marco Velidei, operaio di una ditta specializzata nell'asfaltare le strade, alle 18:45 era rientrato a casa (un appartamento posto al terzo piano di un piccolo condominio a Marina Romea) dopo una giornata di lavoro. Era stanchissimo perchè la sua attività, che era sempre molto faticosa, diventava massacrante in estate quando si era costretti a lavorare sotto il sole cocente.

“Credo che all'inferno stiano più freschi. Oggi la temperatura è arrivata a 38 gradi ed è stata veramente dura arrivare a sera. Yuri, quel ragazzo giovane appena assunto di cui ti ho parlato, ha accusato un malore e abbiamo dovuto chiamare la madre perchè venisse a prenderlo. Ora vado a fare la doccia, poi ceno e subito dopo vado a dormire. Devo recuperare energie perchè, a sentire le previsioni, domani potrebbe essere peggio di oggi.”

“Va bene. Mentre ti lavi io finisco di preparare la cena, così trovi tutto pronto appena esci” aveva detto la moglie Franca e, mentre il marito si dirigeva verso il bagno, aveva pensato a quanto è ingiusto il mondo dove ci sono categorie come i calciatori che guadagnano cifre assurde, mentre suo marito era costretto a lavorare in condizioni inumane per meno di 1.500 euro al mese. Durante la cena Marco e Franca avevano seguito un TG e commentato alcune notizie, poi, dopo aver augurato la buonanotte, l'uomo era andato a coricarsi. Dormire si era rivelato più complicato del previsto a causa del caldo e, anche spalancando la finestra, la stanza da letto non accennava a rinfrescarsi. I due coniugi non avevano mai installato un impianto di climatizzazione perchè accantonavano quel poco che riuscivano a risparmiare per creare i fondi necessari alla piccola ma indispensabile ristrutturazione di cui necessitava l'appartamento. Alle 23:30, preso dallo sconforto, era andato sul balcone e si era sdraiato sulla brandina da spiaggia che sua moglie utilizzava per prendere il sole. Aiutata dalla brezzolina, la stanchezza aveva avuto la meglio e Marco si era finalmente addormentato.

Mentre accadeva tutto questo, in un paese vicino un uomo stava ripassando mentalmente il piano che, una volta messo in atto, lo avrebbe trasformato in un assassino. Era fermamente determinato ad eliminare quello che lui definiva “il problema” e per farlo si stava preparando scrupolosamente da tempo. Finalmente si sentiva pronto, ogni particolare era perfetto, nessuno avrebbe potuto fermarlo e neppure il più esperto degli investigatori avrebbe potuto scoprirlo. Rivolgendosi alla pistola che teneva in mano aveva detto: “Questa notte tu ed io risolveremo definitivamente il problema, poi ci separeremo per sempre.”

Marco era immerso in un sonno profondo quando alcuni rumori lo avevano destato. Sulle prime, non ancora perfettamente sveglio, non aveva ben capito di cosa si trattava. Il fragore di uno sparo e le urla disperate di un uomo che gridava “aiuto … aiuto … qualcuno mi aiuti” lo avevano fatto uscire dal torpore e spinto ad alzarsi. Nella strada sottostante un uomo stava correndo inseguito da un altro distante circa venti metri. L'inseguitore aveva esploso un secondo colpo proprio mentre si trovava sotto di lui. Fortunatamente il proiettile non aveva colpito il bersaglio, ma, producendo un suono metallico, aveva centrato la carrozzeria di un'auto in sosta più avanti. Dopo pochi istanti il terzo sparo, questo purtroppo andato a segno. L'uomo inseguito aveva perso la coordinazione dei movimenti e, dopo due passi scomposti fatti per inerzia, era caduto a terra restando immobile in una posizione innaturale. L'assassino lo aveva raggiunto e gli aveva esploso contro altri due colpi, poi si era rapidamente guardato attorno e aveva ripreso a correre. Al primo incrocio aveva girato a destra dirigendosi versa la pineta e il mare ed era scomparso dalla vista di Marco. Per un paio di minuti l'uomo era rimasto bloccato dallo shock provocato dalla scena alla quale aveva assistito e, solamente dopo essersi ripreso, aveva telefonato per chiedere l'intervento del pronto intervento e delle forze dell'ordine. L'auto della polizia e l'ambulanza erano giunte a sirene spiegate e lampeggianti accesi a distanza di pochi minuti l'una dall'altra. Al medico del pronto intervento era bastata un'occhiata all'uomo a terra per capire che la sua presenza era superflua, tuttavia si era chinato per controllare se si avvertiva ancora il battito cardiaco. Si era rialzato scuotendo la testa. Nel frattempo uno dei due agenti della volante, dopo aver visto la vittima a terra, aveva preso il cellulare e composto un numero.

L'ispettore Michael Caffarello stava beatamente dormendo quando era squillato il cellulare che teneva sul comodino. Al terzo squillo la moglie, che aveva il sonno molto più leggero, lo aveva scosso per svegliarlo e dopo il settimo finalmente c'era stata la risposta:

“Pronto, chi parla?”

“Ispettore, sono l'agente Del Pane. Volevo ..”

“Del Pane! Cosa ti salta in testa di chiamare a quest'ora? Spero tu abbia una motivazione validissima, altrimenti ti sbatto … ti sbatto ...”

“Ispettore, mi trovo a Marina Romea in via delle Onde. C'è stato un omicidio. La vittima è un uomo di colore di 30/35 anni. Qualcuno gli ha sparato. L'agente Galfari, che è qui con me, mi ha suggerito di chiamarla adesso per avviare immediatamente le indagini.”

Caffarello, a malincuore, aveva risposto: “Del Pane, mi vesto e parto. Ci vediamo tra circa venti minuti. Nel frattempo verificate se ci sono dei testimoni.”

I due agenti avevano chiesto alle persone che, svegliate dagli spari o dalle sirene erano scese in strada, se qualcuno aveva visto qualcosa e se conoscevano la vittima. Marco si era fatto avanti e aveva descritto in modo dettagliato tutti i particolari che ricordava (“L'assassino non sono riuscito a vederlo in faccia ma posso dire che è di corporatura snella, vestito con jeans chiari e t-shirt bianca”), aggiungendo che non aveva mai visto l'uomo steso a terra. Anche tutti gli altri presenti avevano dichiarato di ignorare l'identità del morto.

L'ispettore Caffarello era arrivato mentre Del Pane e Galfari stavano ancora cercando di raccogliere elementi utili. Aveva ordinato di allontanare dal punto dove giaceva la vittima tutti i curiosi e di recintare l'area circostante, poi aveva richiesto alla centrale l'intervento della “scientifica” e, subito dopo, ascoltato quanto appreso dai due poliziotti: “Avete controllato se la vittima ha con sé un documento di identità?”

“Ho verificato io subito dopo averla chiamata. Non ho trovato nulla che aiuti ad identificarlo” aveva prontamente replicato Del Pane.

“Fintanto che non arrivano quelli della scientifica è meglio non toccare nulla ….. una cosa però si potrebbe fare. Galfari, hai ancora il numero dell'istruttore di Rasco, quel cane dal fiuto fenomenale?”

“Mi pare di averlo …. ora controllo ….. si chiama … si chiama …. ah ecco … Luca Adamucci. Lo chiamo subito.”

Al terzo squillo Adamucci aveva risposto. “Buongiorno Luca. Sono l'agente Daniele Galfari. Scusa l'orario, ma c'è stato un omicidio a Marina Romea e l'ispettore Caffarello chiede l'intervento di Rasco per cercare tracce dell'assassino. Puoi venire subito?”

“Va bene. Mi vesto, faccio salire in auto il cane e parto. Se non trovo traffico, conto di arrivare alle 5:30. Vengo da Bologna e con l'auto che mi ritrovo non posso correre più di tanto.”

Gli uomini della scientifica, giunti in tempi rapidissimi, si erano appena messi al lavoro alla luce delle fotoelettriche quando una donna di colore, che teneva in braccio una bambina di circa un anno, si era avvicinata alla scena del crimine. Quando aveva visto l'uomo disteso a terra, aveva gridato “Moses” poi aveva iniziato a piangere disperatamente. Caffarello si era avvicinato alla donna e, con tatto, le aveva chiesto se conosceva la vittima. La donna tra i singhiozzi aveva risposto “E' mio marito.”

Cinque minuti dopo l'ispettore era in casa di Lorna (così aveva detto di chiamarsi la donna) per raccogliere una deposizione. Dopo aver rimesso a letto la bambina, si erano seduti in cucina e, tra le lacrime, Lorna aveva iniziato a parlare: “Doveva rientrare dal lavoro entro le tre. Quando poco fa mi sono svegliata e ho notato che mio marito mancava sono scesa per controllare se c'era l'auto. Appena l'ho vista parcheggiata al solito posto, ma con la portiera aperta, mi sono allarmata. Ho guardato in giro e ho notato l'assembramento. Speravo di non trovarmi di fronte a quanto temevo.”

“Mi perdoni se la incalzo con le domande, ma spesso la rapidità nelle indagini è fondamentale per arrestare i colpevoli. Vorrei sapere i vostri nomi, da quanti anni siete in Italia, da dove venite, da quanto abitate in questo appartamento, qual è la vostra occupazione, se avete ricevuto minacce in passato, se è a conoscenza che suo marito avesse nemici e tutto quanto ritiene opportuno riferirmi.”

La donna aveva fornito tutte le informazioni. Lei era Lorna Chebet e suo marito si chiamava Moses Chirchir. Erano nativi del Kenia e si erano trasferiti in Italia da undici anni, alla ricerca di condizioni di vita migliori di quelle che il loro paese offriva a dei ventenni, l'età di entrambi quando erano partiti. “Siamo arrivati come clandestini attraversando il mare. Dopo alcuni mesi, che sono stati veramente difficili, mio marito ha trovato lavoro alla Madegaglia, una industria chimica della zona e finalmente abbiamo potuto affittare un appartamento. Tre anni fa ho trovato un lavoro regolare anch'io presso una azienda che si occupa di pulizie. Questo ci ha permesso di pensare ad un figlio e, quando dieci mesi fa è nata Sarah, ci siamo trasferiti in questo appartamento. Fino a ieri tutto andava bene, eravamo apprezzati nei luoghi di lavoro, andavamo d'accordo coi vicini, non c'erano più problemi economici, anche grazie ai premi che Moses vinceva alla gare podistiche. Perchè ci hanno fatto questo?” ed era scoppiata a piangere.

Caffarello, dopo aver cercato di consolarla, le aveva rivolto altre domande poi, dopo averle assicurato che avrebbe catturato l'autore del crimine, si era accomiatato.

Mentre era in corso il colloquio tra l'ispettore e la moglie della vittima, l'assassino era rientrato nella sua abitazione. Non era per nulla soddisfatto. Anche se il risultato era stato quello voluto, la scena non si era svolta come lui aveva programmato. Il progetto prevedeva l'uccisione dell'uomo prima che questi scendesse dall'auto e fuga immediata nella direzione opposta a quella seguita. Quando aveva visto arrivare la macchina aveva atteso che parcheggiasse, poi era uscito dal nascondiglio. Arrivato a pochi passi aveva tentato di estrarre la pistola dalla tasca dei jeans, cosa che non gli era riuscita perchè l'arma si era incastrata. Moses si era accorto delle sue intenzioni ed era fuggito invocando disperatamente aiuto. Andava talmente veloce che sicuramente gli sarebbe sfuggito se il terzo colpo non fosse andato a segno. Purtroppo l'inconveniente lo aveva costretto a modificare diverse parti del piano tra le quali anche il punto in cui liberarsi della pistola. Il giorno precedente aveva scavato una buca in pineta in mezzo ai rovi con l'intenzione di seppellirla e cancellare le tracce del suo passaggio, ma, con tutto il trambusto che aveva fatto, temeva di trovare gente in giro ovunque. Deciso a disfarsi comunque di arma e guanti utilizzati per sparare, aveva gettato tutto in un cassonetto dei rifiuti dello stabilimento balneare che aveva raggiunto fuggendo, poi, giunto in riva al mare, si era tolto scarpe e calzini e aveva camminato dentro l’acqua per almeno 300 metri prima di uscire e tornare all’auto. Rientrato in casa, era stato assalito dal sospetto di aver lasciato in giro tracce utili ad identificarlo.

Quando il sole era sorto da alcuni minuti, Luca Adamucci e Rasco erano giunti sul luogo del delitto. Al cane era stata fatta fiutare la zona attorno al punto dove era caduta la vittima. Come sua abitudine, l'animale, dopo pochi istanti era partito deciso proprio nella direzione indicata dal testimone e, attraversando la pineta, aveva condotto gli uomini che lo seguivano al bagno “Riviera blu”. Qui, dopo aver fiutato un cassonetto per la raccolta dei rifiuti, si era diretto verso la spiaggia e aveva condotto i suoi accompagnatori fino all'acqua. Sul bagnasciuga era ben impressa l'impronta di una scarpa sportiva. Del Pane l'aveva fotografata col cellulare e poco dopo, l'agente Cancellero, esperto della scientifica, aveva fatto il calco. Vedendo che Rasco non si muoveva, l'istruttore aveva detto: “Evidentemente l'assassino è entrato in acqua qui e ha utilizzato il mare per far perdere le sue tracce.”

“Come fa ad essere certo che si tratta del nostro uomo e che il cane non abbia commesso un errore?”

“Agente Del Pane, Rasco non sbaglia mai. Nessuno ha ancora capito come faccia a seguire le tracce che nessun altro cane è in grado di trovare, ma le assicuro che è infallibile.”

L'ispettore Caffarello, dopo aver bevuto un paio di caffè, alle 10 era entrato negli uffici della ditta Madegaglia per chiedere informazioni su Chirchir. La segretaria che lo aveva accolto, dopo aver ascoltato le richieste, aveva contattato telefonicamente il responsabile del personale. Cinque minuti dopo l'ispettore era seduto di fronte a Roberto Verieri.
“Ispettore, si accomodi. Barbara mi ha riferito la terribile notizia. Cosa posso fare per lei?”

“Vorrei sapere se la vittima aveva nemici, se aveva litigato con qualche collega, … qualunque cosa lei ritenga utile, anche la più banale.”

“Moses era un operaio modello, sempre puntuale, preciso e scrupoloso nel lavoro. Tutti qui gli volevano bene anche perché, quando c'era bisogno, si fermava anche dopo la fine del turno per dare una mano. Andava d'accordo con tutti e tutti lo apprezzavano. Per tutti noi è una gravissima perdita umana e professionale.”

“Posso parlare con qualche dipendente?”

“Certamente. Chiedo a Barbara di convocare qui tutti quelli che sono stati spesso in turno con lui.”

Gli undici lavoratori che si erano presentati avevano ripetuto la stessa versione: lavoratore straordinario, sempre pronto a dare una mano, disponibile ad allungare la permanenza qualora necessario, benvoluto da tutti, grande appassionato della corsa di resistenza che praticava con eccellenti risultati, padre e marito felice, nessun episodio di razzismo di cui fossero a conoscenza. Insomma, una conferma del quadro descritto da Verieri. Caffarello era uscito dalla fabbrica grattandosi il capo. Anche se le indagini erano solamente all'inizio, si preannunciavano tutt'altro che semplici. Era tornato in ufficio per verificare cosa avevano scoperto i suoi collaboratori.

Appena l'ispettore aveva varcato la soglia del suo ufficio, l'agente Galfari si era precipitato da lui per comunicargli che avevano rinvenuto una pistola e un paio di guanti monouso dentro il cassonetto nei pressi del bagno dove li aveva condotti il cane. “Domani, grazie alle prove balistiche, sapremo con certezza se è l'arma del delitto. Inoltre è in corso lo studio del calco dell'impronta della scarpa che abbiamo trovato sulla spiaggia. Speriamo che queste tracce ci portino all'assassino.”

“Grazie Galfari. Lo spero tanto anche io. A parte quel Velidei, che purtroppo non ha visto in faccia lo sparatore, avete trovato qualche altro testimone?”

“No, ma Del Pane e altri tre agenti stanno chiedendo casa per casa lungo il tratto di strada usato per la fuga.”

“Bene. Io resto ancora un poco poi torno a casa. Se ci sono novità chiamatemi.” Rimasto solo aveva cercato notizie su Moses e Lorna negli archivi di polizia per verificare se avevano dei precedenti, scoprendo che erano incensurati. Gli unici dati riguardavano la schedatura al loro arrivo in Italia.

Il giorno successivo era giunta la conferma che la pistola recuperata era l'arma del delitto. Non erano state rilevate impronte, quindi chi l'aveva usata indossava i guanti, quasi certamente quelli ridotti a brandelli e ritrovati con la rivoltella. Il numero di matricola aveva portato a scoprire che l'arma era stata sottratta alcuni mesi prima ad una guardia giurata che si era fatta sorprendere da un malvivente mentre stava compiendo un giro di ronda. Probabilmente il ladro, ipotizzando che non fosse l'assassino, l'aveva rivenduta senza farne mai uso personalmente. Dopo altri tre giorni, durante i quali non erano stati fatti passi avanti, grazie al calco dell'orma lasciata sulla sabbia, si era saputo che la scarpa era una Asics Gel Ds Trainer 15, scarpa utilizzata di solito da atleti di discreto o buon livello. Trattandosi di un modello di alcuni anni addietro, era difficile sapere se l'utilizzatore, ammettendo che si trattasse di un runner, fosse ancora in attività. Secondo l'esperto interpellato, la scarpa probabilmente era ancora in buone condizioni, e questo lasciava pensare ad un utilizzo limitato da parte del proprietario.

Questo era stato l'ultimo indizio utile, poi i giorni avevano iniziato a scorrere senza che si facessero progressi nelle indagini. Dopo venti giorni Caffarello e la sua squadra, dopo aver esplorato senza alcun esito anche la pista del delitto per motivi razziali, non sapevano più dove cercare. Erano stati riletti più volte i verbali con le dichiarazioni dei testi sentiti, ripassate le perizie balistiche, sentiti tutti i commercianti che trattavano il marchio Asics, ma tutto si era rivelato inutile.

Quando si stava pensando di sospendere le indagini, un uomo e una donna si erano presentati chiedendo di parlare con l'ispettore. Caffarello li aveva condotti nel suo ufficio e i due si erano presentati come Giuliano Sorsi e Monica Dacasio, allenatori di atletica leggera. “Vorremmo parlarle a proposito del delitto di Moses Chirchir. Pensiamo di sapere chi lo ha ucciso” aveva esordito l'uomo, e spinto dal poliziotto aveva iniziato la deposizione.

“La sera del fattaccio io, Monica e altre persone eravamo nella casa che abbiamo in affitto a Marina Romea. Siamo rimasti in giardino a parlare fino a notte fonda e abbiamo visto, all'ora del delitto, un uomo che correva. In quel momento non sapevamo cosa era successo, ma siamo rimasti colpiti da due particolari. Il primo è l'abbigliamento indossato per allenarsi, jeans e maglietta, poi ci ha stupiti la strana posizione delle braccia, decisamente sbagliata. In quel momento pensavamo che l'uomo stesse effettuando una seduta di preparazione ad un orario insolito, non che stesse fuggendo dopo aver commesso un crimine.

“Ho capito. Perchè non siete venuti subito a denunciarlo?”

“Perchè, come le ho detto, in quel momento non sapevamo cosa fosse successo e il mattino dopo siamo partiti per il Kenya per visionare alcuni atleti. Inoltre non lo abbiamo visto in faccia, quindi non avremmo potuto riconoscerlo. Quando abbiamo appreso la notizia dai giornali abbiamo deciso di venire ad informarla al nostro ritorno. Avremmo avuto ben poco da riferire se nel frattempo non avessimo assistito ad una gara di 10 chilometri a Rimini due giorni fa. Il vincitore è quasi certamente l'assassino perchè muove le braccia come l'uomo che abbiamo visto. Non lo avevamo mai visto gareggiare, ma il suo nome ci era già noto perchè vince quasi tutte le gare di livello locale alle quali partecipa.”

“Mi potete dire il nome?”

“Certo. Si chiama Giuseppe Rigoni.”

Dopo aver accompagnato all'uscita i due, Caffarello si era seduto per meditare su quanto appena appreso. Sorsi e Dacasio avevano certamente visto l'assassino, ma si rendeva conto che nessun giudice lo avrebbe condannato se l'unica prova era l'utilizzo scomposto delle braccia mentre correva. Alla fine aveva deciso di andare a parlare con Rigoni portando con sé Del Pane e Galfari.

“Purtroppo, ammesso che sia lui il colpevole, non abbiamo nessuna prova a suo carico, quindi cerchiamo di indurlo a tradirsi.”

I due agenti avevano approvato l'indicazione dell'ispettore. Giunti a destinazione avevano suonato il campanello. Dopo pochi istanti la porta si era aperta e una donna, un po' spaventata dalle divise, aveva chiesto cosa desideravano. “Buonasera. Sono l'ispettore Caffarello e questi sono gli agenti Galfari e Del Pane. Vorremmo parlare con suo marito.”

“Mio marito sta facendo la doccia. E' appena tornato dall'allenamento. E' successo qualcosa di grave? Perchè cercate Giuseppe?” La donna era visibilmente preoccupata.

“Si rilassi signora. Vogliamo solamente fare un paio di domande su una faccenda con la speranza che suo marito possa esserci di aiuto. Tutto qui.”

“Meno male. Temevo che avesse provocato un incidente attraversando una strada mentre si allenava. Mi dice spesso che quando si è stanchi basta poco a distrarsi.”

Poco dopo Rigoni era entrato nella sala dove si trovavano la moglie e i poliziotti. Dopo le presentazioni, Caffarello aveva iniziato a porre le sue domande.

“Conosceva Moses Chirchir?”

“Certo. Un simile atleta era noto a tutti i runner.”

“Aveva nemici nell'ambiente?” Giuseppe aveva negato una simile ipotesi.

“Quali erano i rapporti tra lei e Moses?”

“Normali. Ci incontravamo spesso alle gare, scambiavamo qualche parola sul percorso prima di partire e sul podio durante le premiazioni.”

Del Pane, fingendo curiosità, si era intromesso: “Lei è un atleta di buon livello, quindi può rispondere ad una domanda che mi pongo da tempo: quante scarpe utilizza un campione come lei? Vorrei anche vederle, se non le dispiace. Per me sono tutte uguali, mentre alcuni miei amici che corrono dicono che ce ne sono di diversi tipi.”

Giuseppe aveva abboccato e, mentre l'ispettore stava affermando che non era il caso, l'atleta aveva prontamente ribadito: “Nessun disturbo, anzi … mi fa piacere che qualcuno si interessi. Al momento utilizzo otto paia di scarpe, ora le prendo e ve le mostro.”

Poco dopo era tornato con otto scatole che aveva aperto davanti ai presenti. “Ogni scarpa ha le sue caratteristiche e io le utilizzo in base alla seduta che devo effettuare. Queste Nike le uso per allenamenti particolarmente lunghi, quel modello Saucony per le salite, queste ..”

Galfari, che aveva riconosciuto le Asics del modello utilizzato dall'assassino, lo aveva interrotto. “Mi scusi Giuseppe. A me piacciono moltissimo queste. Posso prenderle in mano?”

“Ovviamente sì. Queste sono tra le mie preferite. Le Ds Trainer sono perfette per allenamenti veloci e si possono usare anche in gara. E' la versione di qualche anno fa e queste sono le ultime rimaste. Ne avevo acquistato tre paia.”

“Lo sa che chi ha ucciso Moses indossava questo modello di scarpa?”

“No ispettore. Comunque è una calzatura che ha venduto parecchio, quindi sono in molti i runner che la possiedono.”

“Guardi che stranezza ispettore. La suola della scarpa destra ha lo stesso difetto di quella che ha lasciato l'impronta sulla sabbia.”

“Già, molto strano. Forse è il punto debole di questo modello. Lei che ne dice Giuseppe?”

“Non saprei, non mi ero neppure accorto di quel piccolo taglio.”

“Scusi la domanda che un po' mi imbarazza, ma che a questo punto devo farle: mi può dire dove si trovava la notte del 15 luglio?”

“A letto naturalmente. Sono un abitudinario. Tutte le sere mi corico alle 10:30/11:00 e alle 7 sono già in piedi. Perchè me lo chiede?”

“Perchè sono certo che lei ha ucciso Moses Chirchir, anche se non ne conosco il motivo.”

Rigoni aveva iniziato a sudare per la tensione. “Come può fare una simile affermazione? Solamente perchè la scarpa ha un difetto uguale a quella dell'assassino? Io sono innocente, non ho ucciso nessuno.”

“Mi dispiace per lei, ma abbiamo una prova decisiva: sull'arma abbiamo rinvenuto le sue impronte.” L'uomo era sbiancato e aveva prontamente ribattuto: “Impossibile, ho usato i gua.....”

Troppo tardi si era reso conto di essere caduto nella trappola tesagli.

“Bene. Ora mi può dire cosa l'ha spinta a questo gesto inconsulto?”

Rigoni, seduto con la testa tra le mani, aveva iniziato la spiegazione: “La corsa è la mia passione e mi piace moltissimo vincere. Fino ad un anno fa mi aggiudicavo il primo posto in quasi tutte le manifestazioni alle quali partecipavo. Tutto questo è cessato quando Chirchir, stanco di gareggiare in pista, ha deciso di passare alla strada. Mi sono sempre impegnato al massimo, ma lui era troppo forte e mi batteva regolarmente. Lei forse non può capire cosa significa ritrovarsi sempre secondo, ma le posso assicurare che per me era una sofferenza terribile. Stanco di tutto questo, un giorno ho deciso di eliminarlo fisicamente. Il resto lo conosce già.”

L'ispettore e i due agenti stentavano a credere a quanto avevano appena udito. “Lei quindi ha ucciso un uomo, ha privato una donna del marito, ha reso orfana una bambina di neppure un anno, ha privato una azienda di un valido lavoratore, si è sporcato le mani di sangue… insomma... ha fatto tutto questo per così poco? Spero vivamente che la condannino alla pena che merita.”

Poi, rivolto agli agenti, l'ispettore aveva ordinato: “Ammanettatelo e portatelo via. Io vado ad avvertire la povera Lorna che abbiamo arrestato il colpevole.”

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Andrea Menegon Tasselli

Nato nel 1958 a Lugo di Romagna dove vivo tuttora, di professione bancario, podista da molti anni. Da circa tre anni scrivo racconti che toccano vari generi (umorismo, giallo, fantascienza) con la speranza che a qualcuno piacciano, conscio comunque di essere scrittore molto dilettante.
Le mie "opere" si trovano su questi siti:
http://www.braviautori.com/andrea-menegon.htm
http://www.lopcom.it/Monografie/andrea-menegon-tasselli1



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Commenti

Bravo

Complimenti Andrea, ho letto tutto d'un fiato. Avvincente e ben scritto.

Claudio02/05/2017 12:24:51


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