anno 2013
29/09/2013
Pizzowhat di Correre - Numero 348 - Ottobre 2013 - Ecco cosa ho detto (per intero) riguardo il Tor e le gare ultra - un confronto con Leonardo Soresi
PIZZOWHAT
Numero 347
Ottobre 2013
Ecco cosa ho detto (per intero) riguardo il Tor e le gare ultra - un confronto con Leonardo Soresi... lettera al direttore
Il fatto
Domenica 8 settembre il Tor des Geants (330 km sulle montagne della Val d’Aosta, 24.000 m di dislivello +) era cominciato da dodici ore quando il cinese Yuan Yang, di 43 anni, è caduto lungo un sentiero nella zona del lac du Fond, sotto al colle della Crosatie (Valgrisenche), a circa 2.600 m di altitudine, di sera al buio e in una bufera di vento e pioggia mista a nevischio, andando a sbattere violentemente contro le rocce. Era buio, c'era vento e cadeva pioggia mista a neve. I medici del 118 in servizio lungo il percorso non hanno potuto che constatare il decesso per trauma cranico.
Martedì 10 settembre La Gazzetta dello Sport ha dedicato una pagina intera alla notizia ospitando anche le opinioni contrapposte dell’alpinista Simone Moro e di Orlando Pizzolato. La notizia della tragedia è stata pubblicata sul nostro sito correre.it ed è stata commentata da molti appassionati, che sulla nostra pagina Facebook hanno colto l’occasione per esprimere il loro dissenso su quanto scritto dal nostro direttore sul quotidiano sportivo.
Caro Orlando,
sono rimasto un po’ sorpreso dal suo commento su La Gazzetta dello sport a proposito dell’incidente mortale al Tor des Geants. Non mi aspettavo che fosse proprio lei a puntare il dito contro il trail. Eppure la rivista Correre ha fatto e sta facendo molto per promuovere quest’attività che in cambio di un po’ di fatica restituisce all’individuo, ad esempio, la solidarietà tra esseri umani, il rispetto dell’ambiente e la capacità di accettare i propri limiti.
Non avessi visto il suo viso su quella pagina avrei pensato a un errore. La sua opinione mi ha ricordato quegli interventi di giornalisti che non frequentano il nostro mondo tranne quando ci criticano in occasione di una morte in gara, maratona o trail che sia.
Gianluca Fadani - Finale Ligure (SV)
Sono rimasto anch’io sorpreso, ovviamente non da quello che La Gazzetta dello Sport ha pubblicato con la mia firma in seguito ad un'intervista telefonica di più ampio respiro con Fausto Narducci, ma dalla reazione che quell’intervento ha suscitato. Me lo sono riletto più volte (e qui lo ripropongo con le riflessioni che in me la rilettura ha generato, punto per punto – perché credo che molte offese e commenti duri dipendano da una lettura parziale dell'intervista) e continuo a non trovarci un passaggio cui attribuire il ruolo di detonatore delle polemiche che si sono accese e del clima che si è creato anche nella nostra comunità su Facebook. In particolar modo, non ho compreso le offese alla mia persona piuttosto che le argomentazioni critiche di risposta che fanno parte di un dibattito tra persone civili. Tengo a precisare inoltre che non è affatto vero che io parlo senza competenze, perché ho sempre corso e prediletto correre fuori strada, quando il trail non si chiamava ancora così ma era una semplice corsa su sentieri, nei boschi, in collina, in montagna anche in quota. E lo faccio tuttora, condividendo gli entusiasmi di chi alleno per le gare di trail.
Per questo, una volta arrivata la lettera di Gianluca, con Daniele Menarini abbiamo deciso che era il caso di riproporre “tutto il dibattito”, come si sarebbe detto una volta, a bocce ferme, sfruttando la distanza temporale con cui andiamo in edicola rispetto ai giorni caldi della notizia. Un “ritardo” che di solito è un handicap, perché la notizia esige freschezza, ma che per una volta si potrebbe rivelare salutare. A due settimane dai fatti penso che si potrà riuscire tutti a vedere le cose con più serenità. Abbiamo così deciso di affiancare alla mia risposta un commento-contraltare della nostra anima trail, Leonardo Soresi, oltre all’insieme dei commenti che al momento di andare in stampa erano già comparsi sulla nostra pagina Facebook.
Su La Gazzetta dello Sport, ho scritto:
<
>
Questo lo confermo, perché lo trovo naturale. Vale per il principiante che affronta la prima gara, anche su distanza breve e che via via continua ogni tanto ad “alzare l’asticella”: la mezza maratona, poi la maratona e, quando questa viene un po’ a noia, il trail. Ogni passo in più mi sembra spesso caratterizzato da una certa fretta di arrivare a presentarsi al via. Il caso più frequente penso lo possiate facilmente indovinare: quelli che da zero o quasi mi chiedono di partecipare alla maratona di New York, o a qualche altra manifestazione ultra, confidando nella “forza di volontà” piuttosto che in una razionale preparazione.
<>
Questo passaggio, tra l’altro, l’avevo già utilizzato su Correre di maggio 2013, rispondendo a un lettore che anche allora si confrontava con me su una morte nel trail, quella di Ponzo alla Maremontana. Sappiamo che Correre non ha certo la risonanza de La Gazzetta dello Sport, ma allora chi ci segue non espresse il dissenso che si è acceso questa volta.
<>
E pensare a chi, per sua negligenza o superficialità, è costretto poi ad andare in suo aiuto in condizioni sempre rischiose. Emblematico il caso di Kilian Jornet che il 7 settembre è stato soccorso in alta montagna suscitando l'ira dei soccorritori. Secondo me mai una persona deve mettere in repentaglio la propria vita o quella degli altri. Mi rincuora invece la sobrietà di un anti-personaggio come Marco Olmo, pacato e razionale.
<>
Forse il nodo è in quel “stressati dal cronometro”. Attenzione: qui mi riferisco agli “ultratrail”, cioè competizioni su distanze a mio parere superiori alla preparazione che un atleta può ottenere con l'allenamento. INOLTRE: il mio intervento era duplice: da una parte intendevo dire che chi si dedica al trail è il corridore su strada saturo dalla sfida contro il tempo, e che quindi sceglie la corsa più libera in natura, lontano dal cronometro. Dall'altra però il corridore fuori strada rischia di essere ancora condizionato dal cronometro: quelli che stanno ai primi posti nelle gare ultra sono ben preparati ma tagliano sulle ore di sonno e sui bisogni fisiologici per arrivare prima degli altri, mentre i più lenti sono preoccupati di non arrivare in tempo al cosiddetto cancello orario o di non concludere entro il tempo massimo (a posteriori, ho letto questa testimonianza: Emanuele Battaglia - di Enrico Vivian). Questo li può indurre a una frenesia nel cammino, soprattutto in discesa, che è pericolosa, perché la preoccupazione di finire fuori gara impedisce loro di stare concentrati sul sentiero che stanno percorrendo. Magari noi che li guardiamo non ce ne accorgiamo, perché quello che vediamo è un semplice corridore lento, che alterna corsa blanda a cammino. In realtà, quel lento è un passo affrettato per le sue condizioni, tenuto conto che spesso c'è anche l'effetto condizionante della quota. Dopo tanti chilometri le sue fonti di energia si sono ormai ridotte all’osso incidendo su tutto: l’elasticità muscolare, la forza, la lucidità. Vero è che questo capita anche al maratoneta, che a sua volta rischia, ma, almeno dal punto di vista degli infortuni da caduta, la possibilità di farsi molto male mi appare più limitata.
In pratica la frase completa poteva essere questa: Chi fa queste ultratrail è il corridore su strada stressato dal cronometro che preferisce la corsa in natura, ma rischia di trovarsi in condizioni di ipoglicemia e debilitazione da affaticamento in cui cala la lucidità: sente di essere andato piano in salita e si butta sulla discesa rischiando, magari al buio e in condizioni atmosferiche avverse.
<>
Ѐ quel “dilettanti” che brucia? Ma lo siamo tutti, tutti noi (compreso io che non sono più un atleta professionista) che non viviamo del nostro correre e che quindi non possiamo dedicargli il tempo e l’attenzione che riserviamo al lavoro (dove magari siamo bravi professionisti), quando invece le cose da fare come runner (soprattutto se ultra), per essere davvero in condizione di sostenere certi sforzi, sono tante e richiedono tempo: allenamento, stretching, potenziamento, alimentazione curata, controllo e ricambio delle calzature e dell’abbigliamento, informazione.
Per questo ho voluto concludere scrivendo:
<>
Riflettiamo.
Orlando
Noi non siamo così
Eccoci qui: siamo i trailer, i corridori dei sentieri. Siamo quei pazzi che vanno su a 3.000 m in scarpette da ginnastica, seguendo le orme del loro idolo Kilian, che si sparano gare da cento o più chilometri sulle montagne in pantaloncini e maglietta, con al massimo un inutile microzaino, che sfidano la sorte iscrivendosi in massa a gare massacranti come il Tor des Geants: spregiudicati, temerari, spericolati, avventati, incoscienti, imprudenti. Pazzi, appunto.
Martedì 10 settembre siamo finiti pure su La Gazzetta dello Sport, che non ha lesinato critiche descrivendoci come “dilettanti della fatica” che rischiano la vita stupidamente. Risultato? Il mio benzinaio, che ha scoperto solo quella mattina l'esistenza del trail, ha commentato che dovrebbero vietare queste gare estreme, perché «In montagna si cammina, non si corre, si va di giorno, non di notte».
Siamo davvero così come ci descrive l’opinione pubblica? No, non lo credo.
In questi anni mi sono abituato a vedere gruppi di escursionisti scuotere la testa di fronte al mio zainetto e alle mie scarpe da trail, dall’alto del loro zaino da 40 litri e i loro scarponi. Solo che quando io stavo già scendendo con un occhio preoccupato all’orizzonte di fronte all’apparire di qualche nuvola, loro stavano ancora, lentamente, salendo verso la cima. Chi stava rischiando di più in quel momento?
Il 90% degli interventi del Soccorso Alpino avvengono a causa di escursionisti che sono sorpresi dal maltempo o dal calar delle tenebre. In entrambi i casi il pericolo si riduce enormemente se si è in grado di muoversi in montagna in velocità (il tempo di percorrenza di un trailer mediamente allenato è quasi un terzo di quello indicato dalle tabelle CAI).
Non siamo migliori degli altri, ma nemmeno così incoscienti da giocare la nostra vita in una gara. Quello che è accaduto al Tor des Geants poteva capitare anche nell’escursione in montagna della parrocchia. La verità è che è la montagna che decide: puoi avere tutta l’esperienza che vuoi, ma è lei che comanda. Noi possiamo solo cercare di imparare a conoscerla e a riconoscere i nostri limiti. Imparando anche a dire «Non ce la faccio, io torno indietro» quando le situazioni si fanno troppo pericolose per le nostre capacità.
Leonardo Soresi
Su Facebook
La nostra comunità sul social network si è rivelata particolarmente sensibile alla morte del trailer cinese Yuan Yang. Moltissimi i post e i like. La maggioranza ha difeso il mondo del trail condannando come qualunquistiche le posizioni espresse sulla carta stampata. Una parte dei nostri lettori, invece, si è riconosciuta nella posizione di Orlando. Di seguito vi riproponiamo alcuni commenti (D.M.)
Piernicola Meloni - Sono uno dei tapascioni. Non si deve offendere nessuno. Io amo le mie gare, amo i rischi, la natura e i sacrifici e se dovessi scegliere di morire vorrei morire così, perché so che in quel momento sarei felice.
Luca Scuderi - Si dimentica sempre che lo sport è una scelta di passione e libertà e come tale va sempre rispettata. Il trail credo sia uno dei massimi esempi: ognuno si prende le proprie responsabilità.
Michele Pellegrino - Queste gare altamente estreme proprio non le capisco. Gli imprevisti sono tanti, perciò si pagano le conseguenze.
Bruno Giraudo - Non meritate risposta, se mettere in gioco la vita per fare queste gare. Ma lo sapete che è il terzo morto del trail nel giro di qualche mese? Anche io amo correre ed è da più di venti anni che lo faccio, ma non mi sognerei mai di rischiare di morire per correre. Poi ognuno è libero di pensarla come vuole!
Lorenzo Pellizzari - La stragrande maggioranza dei trailer sono persone che hanno testa e buon senso (li faccio da anni, e ne faccio tanti, abitando vicino alle Dolomiti ). Purtroppo, come in tutti gli sport, ci sono i supereroi che credono di essere invincibili e danno tutto fino a star male. Io non concepisco questa mentalità, perché per me correre è misurarsi con se stessi , migliorare e divertirsi, ma sempre con testa, quando vedo che sto superando i miei limiti e ho superato il mio massimo, rallento. Ho visto atleti continuare. Affari loro poi!
Fabio Vignale – Allora staremo a casa seduti sul divano davanti alla tv, cosi l'unico incidente sarà finire la birra. Si muore anche in una mezza o in maratona: infarto, stop! Poi io non sono un metronomo da 3’30”/km, ma tu c'è l'hai la testa per gestire 330 km dormendo 2-3ore per notte? Io no.
Eleonora Ferrara - Ognuno è libero di pensarla come vuole significa: mi piace o non mi piace, lo faccio o non lo faccio, condivido o non condivido. Non si insulta: tapascioni, non avere i tempi, nascondersi. Seguo queste gare da tempo e vi posso garantire che si rischia più la vita a fare una passeggiata in strada! Gli incidenti capitano ovunque e in queste gare non si va a cercare la morte!
Maura Ghitti – 24.000 metri di dislivello? Dove arrivi? In paradiso?
Andrea Tavazza - Il mondo del trail non è composto soltanto da chi si butta a capofitto nelle discese (che poi qualcuno mi spieghi, oltre a un minimo di incoscienza mista a coraggio, se gli sciatori, i ciclisti, ecc. rischiano di meno in discesa). La corsa in natura, il rispetto per l'ambiente (nella corsa su strada ci sono tappeti di bicchieri e bottigliette di plastica, nel trail c'è la squalifica per qualsiasi rifiuto gettato), la solidarietà tra atleti (contemplata persino a livello regolamentare con squalifiche e penalizzazioni per chi non si ferma ad aiutare), la mancanza dell'ansia cronometrica ne fanno un movimento in continua crescita. Certo, il rischio c'è, una cosa è inciampare in montagna e una cosa è inciampare su strada. Ma proprio in questi giorni il mondo podistico romano è stretto intorno a uno dei suoi più forti atleti in gravi condizioni, investito da un'auto durante il consueto allenamento mattutino su strada. L'importante è che gli organizzatori sappiano quando e come chiudere o adeguare le gare in presenza di pericoli di qualsiasi natura. Inoltre in questo caso starei attento a parlare di velocità spericolate in discesa. Il TdG non può essere considerato un trail veloce, ma piuttosto una gara di resistenza essendo 330 km e 24 km di dislivello positivo con 150 ore di tempo massimo. Ultima informazione: negli anni precedenti non c'è stato alcun incidente di rilievo e le statistiche sugli incidenti domestici sono piene di decessi per trauma cranico.
Véronique Boillat Kireev – Orlando dice il giusto. A proposito di libertà: vorrei dire che siamo liberi finché siamo soli e anche liberi di chiamare i soccorsi, come Kilian e la sua compagna. Ma nell'ambito di una gara, c'è anche una parte di responsabilità dalla parte degli organizzatori, di mantenere la gara o di proporre un percorso alternativo. C'è tanta gente che non conosce la regione, i tratti a rischio, in particolare di notte. Mi fa pensare a parecchi anni fa, al Défi du Val-de-Travers, che è diventato nel frattempo una gara qualificativa per l'Utmb, C'era il maltempo. Hanno annunciato una modifica del percorso, a causa del rischio di caduta massi, eravamo sollevati. Ma due italiani sono letteralmente saltati addosso allo speaker, erano venuti da lontano e volevano assolutamente fare il percorso originale. Fortuna, gli organizzatori non hanno ceduto. Io non vedo il problema, comunque vince il migliore. Ma c'è anche chi pensa che così non sarà lo stesso, non avrà fatto il dislivello, non sarà niente di straordinario, e questo gli genera frustrazione. Ma quale sarà la soddisfazione di vincere una gara dove ci sono stati dei morti ? C'è qualcosa che mi scappa, un limite difficile da tracciare.
Bruno Giraudo - Io non ho offeso nessuno. Dico solo: se uno ama la montagna ci vada pure, ma a fare una bella passeggiata e non a correre e rischiare la vita.
Luigi Fumagalli - Ma lo sai che in montagna il maggior numero di incidenti accade a escursionisti e cercatori di funghi?
Eleonora Ferrara - Sig. Bruno Giraudo, ci faccia sapere a quale gara parteciperà, così vediamo se è più bravo dei tapascioni!
Luca Ruffoli - Sono d'accordo con Pizzolato.
Luigi Fumagalli - Pizzolato, innanzitutto, dimentica che la maratona conta un numero di morti consistente, a dimostrazione che nemmeno i maratoneti sanno fermarsi. Per non parlare degli alpinisti. Quando poi afferma che i trailer sono stressati dal cronometro, semplicemente dimostra di non conoscere il mondo del trail.
Luca Ruffoli - A me piace il trail, ma sotto l'aspetto agonistico rimane pericoloso.
Alex Copeta - Signor Pizzolato, da un signore dell'atletica come lei delle baggianate madornali così non me le sarei mai aspettate.
Stefano Galloro - "Stressato dal cronometro"? Ѐ evidente che il sig. Pizzolato sta parlando di un altro sport (probabilmente mezze maratone e maratone), non di certo del trail!
Paolo Arnaudo - Deluso dal commento di Pizzolato, però tante volte uno s'immagina una persona in un certo modo mentre poi certi commenti superficiali e "populistici" ti spiazzano. Pazienza. Un abbonamento in meno. Detto ciò, da appassionato di corsa e trail ci tengo a precisare che la maggior parte di chi fa il Tor non corre a rotta di collo, ma cammina! Io gente che va giù a rotta di collo ne ho visti ben pochi ed erano quasi solo i top runner.
Altra cosa: cosa centrano i chiodi dell'alpinismo? Ma il sig. Pizzolato ha mai fatto una via alpinistica? Sa quali rischi si corrono e quanta gente ci lascia le penne anche se ha piantato chiodi a volontà? Poi vogliamo parlare dei morti in maratona? Dei morti nei campi di calcio, in bici ecc. Per favore, siamo obiettivi! Il trail ha sì dei rischi come molti sport, possono essere più elevati in certe condizioni, ma ne siamo ben consci e la maggior parte delle persone sono molto preparate e ben equipaggiate. Ogni tanto qualche incosciente rischia e gli va bene come in tutti gli altri campi della vita (c'è chi va forte in macchina, chi fa il pazzo in bici in discesa o chi nelle piste da sci va giù a uovo, a tutta). Ora non mi dilungo oltre perché sono troppo innervosito. Invece di polemiche sterili e populistiche solo per far clamore, sarebbe meglio dimostrare un po' più di cordoglio e vicinanza alle vittime e ai famigliari che hanno vissuto questo lutto!
Andrea Moscaroli – Prima di parlare e (eventualmente) giudicare bisognerebbe conoscere
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Commenti
"la felicità e la libertà vivranno sempre nei nostri cuori" Yuan Yang
Caro Orlando,ho partecipato al Tor 2013. Mi sono persuaso che, con una buona preparazione, attrezzatura adeguata, e un po' di esperienza di montagna sia un'avventura alla portata se non di tutti, di molti... senza dover tirare in ballo eroismi e retoriche varie dell'estremo.
Per contro le emozioni e le sensazioni che riserva sono indescrivibili.
A parte i primi (quelli sotto le 100 ore), è una gara slow, dove non si superano mai i 6/700 m di velocità ascensionale. Le discese vanno prese dolcemente, non si corrono mai... non si andrebbe certo lontano.
Ci sono momenti duri, certamente, ma passano, bisogna stare calmi, rallentare o fermarsi il tempo necessario. L'ambiente per contro è superbo, l'atmosfera incredibile... 1500 volontari entusiasti: una festa; l'organizzazione imponente e QUASI perfetta.
A volte si è in balia degli elementi: a 3300 m a settembre se fa brutto nevica o c'è tormenta. Temperature, va da sé, sotto zero, il vento è un compagno di viaggio assiduo. Nello zaino: piumino, copripantaloni, guanti imbottiti ed impermeabili, cappello e buff, abiti asciutti, cibo, due frontali. Bastoncini sempre.
In premio: le albe, le notti stellate, la solitudine, la vita che riprende a scorrere nelle vene nel momento in cui il sole del mattino raggiunge le membra... ma anche l'amicizia e la nostalgia per i propri affetti. Si comprendono tante cose, guardandole da una prospettiva diversa.
E' la Montagna! Madre, ma anche matrigna, Possono capitare, purtroppo, e capitano incidenti... è sempre successo e chi la frequenta ne è consapevole. Il rischio, per certi versi, se "riconosciuto", dà un senso e un valore ulteriore all'andare per monti.
Ammetto, forse, che non tutti i concorrenti fossero pienamente consapevoli di ciò che implica un viaggio che si svolge sia attraverso le vallate che dentro sé stessi, come il Tor, e credo che sarà necessario prevedere meccanismi di selezione che tengano conto delle precedenti esperienze dei partecipanti principalmente in ambiente montano.
Ti invito, in ogni caso, a venire a vedere il Tor l'anno prossimo, Ti consiglio di notte, valicando qualche colle, per renderti conto dell'atmosfera che si respira. Sono convinto che, così come il povero Yuan Yang, ne resterai stregato.
Inserisco infine il link della poesia che Yuan Yang aveva spedito agli organizzatori del Tor. La rileggo spesso e trovo che descriva benissimo le emozioni che io stesso ho provato.
http://www.tordesgeants.it/sites/default/files/allegati-news/pensieri_di_yang_yuan.pdf
oguichardaz@hotmail.com -guichardaz oliviero il 24/10/2013 01:34
La verità
La verità è che chi corre accetta il rischio.
Ma lo accetti anche quando esci con il motrinio per andare a lavorare.
Basta alzare un po' più l'asticella.
E fa parte del gioco.
E tu lo cerchi, lo studi, lo vuoi, questo gioco.
Vale la pena?
Ognuno dà la sua risposta.
Per me sì.
Vale la pena vivere a mille, vale la pena tutto quello che la corsa , il Trail mi ha fatto vivere.
Vale la pena aver vissuto
p.cipolla@hotmail.it il 17/10/2013 17:15
tor de giants
condivido pienamente quanto scritto da orlando, che ha come unico fine quello di proteggere i runners e il mondo delle corse, chi non vede e sente questo e' fuori strada...
L'idea di aprire una tavola rotonda e' interessante e piacerebbe anche a me parteciparvi.
tutti siamo liberi di correre dove preferiamo, nel rispetto delle regole, degli avversari e di quanto ci circonda, ma considerato che la preparazione degli atleti a questi ultra trail non e' verificabile, per diminuire il rischio di gravi incidenti come quello capitato al tor,sarebbe opportuno far correre solo chi è veramente pratico e allenato per la corsa in montagna. il desiderio di fare l'impresa ad ogni costo, non è lo spirito di chi ama la montagna ma è il sentimento di chi ha qualcosa in sospeso da dimostrare cimentandosi in queste gare che, a mio avviso dovrebbero essere limitate a corridori + che esperti , in grado di badare alla propria incolumità e se necessario anche a quella degli altri..
nicoladalessa@yahoo.it il 07/10/2013 23:36
i limiti
Caro Orlando, come molti credo che il problema risieda nella conoscenza dei propri limiti. Personalmente corro una maratona all'anno. Credo che sia il mio limite. mi alleno con un amico che corre solo le mezze perchè reputa la preparazione per una maratona troppo usurante per il proprio fisico. siamo soddisfatti così. in montagna ci andiamo per camminare con le nostre famiglie. le ultra le lasciamo ai professionisti della fatica. molti dilettanti dovrebbero fare altrettanto. evitiamo l'ansia da prestazione.
Da Public il 02/10/2013 11:41
tor des geants
difficile far capire quello che scatta dentro di noi mentre si affrontano dislivelli titanici e discese da panico...proprio una gara o avventura come il tor è ancor più difficile da comprendere se non si ha partecipato...ognuno tragga le proprie dinamiche..ma personalmente frequentando questo ambiente e gareggiando nei vari ultra..ho imparato a lasciar scorrere tutto ciò che una gara ti porta via e ti dona interiormente...non c'è cronometro che tenga lassù ma la consapevolezza su cosa si sta facendo e rischiando a volte...ma trovarsi in cima ad un colle o su qualunque sentiero di montagna dove il solo rumore che ti circonda è il tuo respiro..non ha prezzo...lascio ai stradisti le loro emozioni io mi tengo ben stretto le mie consapevole che anche in una giornata negativa in qualunque posto mi trovi la montagna mi saprà donore una foto un'immagine un istante che all'interno di una maratona personalmente non troverei...nessuna critica e credo che come in tutte le tragedie successe ognuna con una sua dinamica..siano materie di riflessione e di dibattito su come ciò non possa più accadere..non terreno per polemiche a distanza che non portano altro che invidia tra le parti...la vita non ha prezzo la passione va coltivata e perseguita con tutti i nostri limiti...buona vita a tutti ed a presto perchè no..magari su qualche sentiero di montagna
max valsesia dilettante non allo sbaraglio
Da Public il 01/10/2013 18:44
LA NORMALITA' OFFENDE: OPPURE NO?
Caro Orlando,
francamente anch'io non capisco la valanga di critiche che ha suscitato il tuo intervento sulla Gazzetta dello Sport. Non condivido le ragioni che spingono molti runner a fare trail ma rispetto la loro passione che comunque è l'espressione della libertà di correre sulle distanze e nei luoghi che più aggradano. Bisogna sempre ricordare che la ns libertà termina quando va a limitare e/o urtare quella altrui: ognuno è responsabile della propria vita ma non bisogna con comportamenti incoscienti mettare a repentaglio quella altrui, dove per altrui intendo gli addetti al soccorso (non dimentichiamo che sono volontari), gli altri atleti concorrenti, i propri cari e persino se stessi, al ns corpo che dobbiamo anche imparare a rispettare ! Scusate ma i trailers troppo ortodossi, che si sentono discriminati se arrivano critiche che derivano soltanto dal buon senso e non dal desiderio di stroncare a tutti costi quello che fanno, mi sembrano più dei talebani in cui la fede cieca nel running estremo ha oscurato la razionalità e portato inevitabilmente all'intolleranza verso chi la pensa diversamente !
atriz@virgilio.it il 01/10/2013 12:08
considerazioni
ciao ,
ho partecipato al Tor 2013, ho letto velocemente le dichiarazioni ,e voglio aggiungere il mio pensiero.
è nel'indole dell'uomo di confrontarsi e molto spesso ci sopravvalutiamo e non siamo umili nel riconoscere i NS limiti e quindi di valutare le nostre reali potenzialità .
parlo del tor ma in genere le gare ultra presentano un margine di rischio che è porpozionale alla reale preparazione dell'atleta e conoscenza del territorio.
molto spesso mancano i fondamentali per partecipare a queste gare , e per fondamentali intendo conoscenza del proprio fisico e della propria psiche. ,del territorio su cui dobbiamo misuraci, tendiamo a minimizzare gli effetti e /o addirittura non pensiamo che possano capitare a noi .
questo è il risultato di una società che tutto brucia.
Allora dico rispetto per la montagna che va conosciuta e affrontata gradualmente.
Ora il trai sta subendo un forte impatto mediatico e di spettacolarizzazione per cui
anche chi organizza queste manifestazioni deve avere i fondamentali , non basta fare "cassa" bisogna sopratutto essere scrupolosi nel accettare le iscrizioni ( fino ad oggi tutti possono iscriversi al tor) spero e mi auguro che l'anno prossimo vengano accettate iscrizioni a punteggio.
Poi voglio dire quando partecipi a queste e altre competizioni può esserci sempre il rischio.
Mauro
gps.mauro@gmail.com il 01/10/2013 11:29
IL MALE DEL NOSTRO PAESE
Sono pienamente convinto che in Italia il sistema dell'informazione (giornali, tv, ecc.) sia COMPLETAMENTE SCADUTO. L'importante è portare qualsiasi notizia a livello di talk show, rovesciando spesso il senso delle dichiarazioni rilasciate dagli intervistati, purchè quanto riportato sulla carta stampata o mandato in onda in tv risponda al solito clichè...... BISOGNA FARE SPETTACOLO!!!
Quindi hai fatto bene Orlando a pubblicare questi chiarimenti.
Io ho praticato per molti anni l'alpinismo, continuo ancora oggi a praticare lo sci alpinismo, vado in montagna ogni volta che il tempo me lo permette, da qualche anno ormai ho lasciato le corse su strada, passando, prima alle gare trail corte per poi approcciare ai trail lunghi e alle ultratrail.
Devo ammettere che spesso ho visto trailer che, a mio modesto parere, sottovalutano completamente l'ambiente in cui ci si trova con il percorso della gara, non so se il motivo derivi dal fatto che questi atleti, arrivando dal mondo della corsa su strada, mancano di esperienza in montagna o se invece sono troppo fiduciosi delle proprie prestazioni fisiche e quindi sono convinti di poter superare agevolmente ogni eventuale difficoltà.
A mio avviso, soprattutto quando si affrontano gare di ultratrail, dove ci sono passaggi un quota, dove si possono trovare condizioni meteo difficili, dove il percorso è lungo e anche la stanchezza gioca la sua parte, bisogna sempre fare affidamento sulle proprie capacità e sui materiali che ci si porta nello zaino per l'autosufficienza. Fare affidamento solo sull'organizzazione della gara per eventuali soccorsi può essere pericoloso. Va anche detto, che la velocità favorisce il disimpegno da queste situazioni e che il comportamento di pochi non deve essere l'indice per definire il comportamenti dei tanti.
Detto questo, sono assolutamente in disaccordo quando si cerca di demonizzare una disciplina sportiva, praticata da persone che amano vivere la propria vita in natura e che amano profondamente la montagna, assumendosi tutte le responsabilità che ne derivano, pubblicando notizie frivole, spesso non verificate e non corrispondenti alla realtà (vedi il caso del soccorso a Kilian - chi ha approfondito la notizia sa di cosa parlo), che servono solo a gettare discredito su una categoria di atleti, facendoli passare da sconsiderati incoscienti, e a far apparire ai molti il trail come uno sport da bandire magari attraverso ordinanze comunali (quello che sta succedendo sempre più spesso con lo sci alpinismo).
Pertanto, per chiudere, io penso che prima di esprimere opinioni o sentenze, bisognerebbe capire e comprendere le motivazioni per cui una persona decide di effettuare una attività sportiva come il trail, affrontando gare impegnative e affrontando, sicuramente con coscienza, i rischi che ne derivano, partendo dal presupposto che gli stili di vita possono essere molto diversi gli uni dagli altri.
Massimo M. il 01/10/2013 10:11
Tor
Ciao Orlando,
L'ho scritto anche su Spirito Trail, dovevano leggere tutto l'articolo, invece qualcuno ha postato una frase e si sono scatenati. Avessero letto l'intero intervento, avrebbero fatto una figura migliore. Io che frequento sia la strada che il mondo trail devo ammettere che i trailers sono un po' estremisti.. O sei come loro o non puoi parlare e se vieni dalla strada sei quello che butta le carte a terra. Lascia perdere....
Paola351@gmail.com il 30/09/2013 19:41
ultra trail
Caro Orlando, ho capito perfettamente cosa intendevi dire e da una parte sono d'accordo con te, da un'altra un po' meno. Come altri, da oltre vent'anni i miei sport sono scalate (credo ad alto livello) e corro maratone e ultra con risultati normali ma piazzamenti sempre nei primi 10/20%. Ho appena corso l'UTMB e come sempre è stata un'esperienza stupenda. Non sono d'accordo sul fatto che chi corre gare trail è stressato dal cronometro, semplicemente io cerco la prestazione su strada d'inverno e la natura/prestazione in estate. L'idea di fare l'intero giro del Monte Bianco in meno di 46 ore mi sembra una bella cosa e non credo di fare del male a nessuno. Vero è che tanti che non riescono a correre una maratona intera, si dedicano ai trail perché lì almeno nessuno ci fa caso se stanno camminando e al termine si sentono degli eroi (magari lo sono anche). Sicuramente il problema è la moda, soprattutto quella che fa aumentare a dismisura i chilometri: oggi se fai una ultra sotto i 100 ti guardano storto, dimenticandosi che poi quei 100 li devi fare per davvero e possibilmente di corsa. Basta guardare il numero dei ritirati in queste gare per capire che potrebbero farle solo in pochi (il 52% dell'UTMB dell'anno scorso o il 35% di quest'anno vi sembra poco?). Vorrei però rivendicare il mio diritto di fare ciò che mi piace, fintanto che non metto a repentaglio la vita dei soccorritori naturalmente, perché sono stufo di sentirmi dire da conoscenti che non hanno mai messo le scarpe da running, che dovrebbero vietare queste gare, poiché altrimenti bisognerebbe vietare di andare al mare, visto che i morti per annegamento sorpassano di gran lunga quelli che muoiono in montagna. Fatemi correre tranquillo, permettetemi di prendermi tutti i rischi che voglio quando faccio alpinismo, perché tanto è impossibile annullarli, non si può sempre piantare un chiodo dove vorremmo e non dimentichiamoci che in montagna la velocità è sicurezza. L'anno scorso durante la COurmayeur-Champex-Chamonix, con condizioni proibitive e migliaia di concorrenti in giro per il Monte Bianco non è successo nulla; io ho preso tre nevicate sopra i 2300 metri, affrontate in serenità con le mie scarpe da running, grazie alla velocità che mi ha sempre consentito di mantenermi caldo e alle 3 del mattino ero a Chamonix in branda a dormire, chiudendo in 16 bellissime, entusiasmanti ore quei cento chilometri che un escursionista medio avrebbe fatto in tre giorni. Mia moglie si preoccupa quando corro in montagna e non si allarma quando corro una maratona, non sapendo che al termine di una ultra ho ancora energie, mentre all'arrivo di una maratona tocco il limite della mia capacità cardiaca. Ma questa è un'altra storia.
Da Public il 30/09/2013 17:49
trail e maratona
Alcune considerazioni estremamente generali. Corro da una vita. Anche in montagna, quando non si conosceva neppure la parola trail. Quindi anche se podista modesto posso dire di conoscere bene "l'ambiente". Non sono contrario ai trail neanche a quelli duri, ma il fatto è che i giornali ci mettono troppa enfasi nel raccontare queste gare. Cavalcano l'onda della moda e non mettono mai l'accento sulla preparazione che ci vuole. Viviamo un tempo in cui va di moda l'estremo. Questo è un fatto certo. Conosco persone e non poche che fanno gare sia maratone, che trail con pochissima preparazione specifica. Tanti, troppi, corrono gare impegnative non per passione pura (e quindi come il vertice di una lunga ed adeguata preparazione),ma solo per il fatto di dire "io c'ero" ... un aspetto edonistico, superficiale.
In ogni caso non mi sembra che Orlando abbia detto nulla di trascendentale se non la sua opinione, che io peraltro approvo.
ciao a tutti
Da Public il 30/09/2013 16:04
Tor
Ops. A due commenti a cui mi sono riferito sono quelli del 29. Poles Orietta e il successivo
fergio47@hotmail.com il 30/09/2013 15:27
Tor
Caro Orlando non posso che essere d'accordo con i 2 commenti precedenti. Mi piacerebbe, però, che la proposta fatta da Franz, che considero persona a modo, avesse un seguito e ....mi piacerebbe anche essere presente.
Ciao.
fergio47@hotmail.com il 30/09/2013 15:23
Questione di moda?
Visto che ho 5 minuti, dico la mia inutile opinione di runner mediocre.
E' da anni che leggo riviste di running e di mtb (le mie 2 passioni) e quello che posso dire da amatore è che la tendenza media e quella di spingere a dedicarsi a discipline sempre più impegnative dal punto di vista della distanza e della durata.
Intendiamoci: non che il Correre di turno o il Runner's world ti dicano: partecipa a questa ultra maratona o al Tor de Gents.
Però negli articoli si evince una sottile aura di eroismo nei confronti di quelli che partecipano a questa gare estreme, come se fossero dei gran, gran fighi.
E non nego che la voglia di partecipare a gare extreme mi sia passata per la testa, nonostante il mio massimo obiettivo sia stato finora la mezza maratona.
Poi per fortuna la mia condizione fisica e forse il buonsenso mi dicono che per raggiungere certi obiettivi è necessario un allenamento congruo.. e mi rendo conto che non riuscirei a prepararmi a dovere.. quindi desisto.
Ma quanti incoscienti ci sono? quante persone sopravvalutano i propri limiti?
La responsabilità va cercata nei singoli che tendono a porsi degli obiettivi troppo sfidanti.. spinti forse dalla MODA dilagante de "più dura è al gara e più è da duri parteciparvi".
Come scrive Roberto Albanesi in alcuni dei suoi articoli, molti runners tendono ad allungare la distanza (o a cercare gare sempre più estreme) probabilmente per compensare un fisiologico calo delle prestazioni dovuto all'età che avanza e alla forma che peggiora.
A riguardo un esempio per evidenziare il concetto. Dite ad un persona che non corre abitualmente:
"ou, ho corso i 5k in 14 minuti"
oppure ditegli:
"ho corso la maratona di NewYork e ci ho messo 5 ore".
La maggior parte delle persone vedrà l'impresa New York come epica...mentre è sicuramente più valida quella sui 5k.
Concludendo, a mio parere, molti partecipano a gare estreme perché convinti di fare qualcosa di epico e per suscitare l'ammirazione dei profani che riescono a capire solo che "più grosso è, meglio è.. ".
Saluti
Antonio P. il 30/09/2013 14:56
tor des geans
mah io ho seguito il Tor, sui sentieri e nei posti tappa, non mi sembra l'esempio di solidarietà anzi ultra stra agonistico. In ogni base vita i farmaci girano a go go, le lamentele per tagli passaggi in macchina zaini portati da amici (a proposito non doveva essere in completa autonomia?!)si sprecano dubbi su tratti percorsi da corridori in tempi stratosferici... Del materiale obbligatorio nessuno ne parla ma quanti avevano nello zaino il tutto??? Secondo me le gare di trail devono stare nelle 24h (se vince chi dorme di meno, la salute dei partecipanti è ad alto rischio) il materiale obbligatorio controllato alla partenza e poi a sorpresa lungo il percorso, i partecipanti devono avere un minimo di preparazione (tipo UMTB con punteggi in base a gare fatte) e devono essere messi cancelli/bariere oraio ristrette chi non è allenato stà fuori.I NAS dovrebbero fare controlli alle basi vita e ai parenti amici al seguito dei concorrenti. Per finire all'arrivo ho visto troppi "atleti" distrutti per non dire peggio... non mi sembra proprio spirito TRAIL
bravo Orlando!
m.gradizzi@virgilio.it il 30/09/2013 12:44
TOR
"Il maratoneta fa fatica, ma sa quando fermarsi, l’alpinista si mette in sicurezza e pianta un chiodo dopo l’altro. Chi fa queste ultratrail è stressato dal cronometro e spesso si trova in condizioni di ipoglicemia in cui cala la lucidità: sente di essere andato piano in salita e si butta sulla discesa a rotta di collo."
Orlando,
scusami ma da Alpinista, Maratoneta a Trailer (nell'ordine) ritengo che questa tua affermazione sia frutto di scarsa conoscenza. A parte che anche in maratona gli incidenti ci sono, dire che in Alpinismo si mettono i chiodi è come dire che all'ultra ci sono le ambulanze: non è che sempre puoi/riesci a mettere un chiodo dove ti serve, se cadono pietre dei chiodi non te ne fai niente, se viene giù una valanga nemmeno. Spesso ci si trova in condizioni di "o la va o la spacca" specie se si forzano un po' i limiti!
Alla fine in tutte le attività è così e se facciamo i conti statisticamente si rischia di più in auto recandosi alla corsa/montagna che non durante la corsa/ascensione stessa.
ciao
ramon il 30/09/2013 10:26
Rispondo ora, perché nei giorni della polemica ero al Tor
Ciao Orlando,
questo tuo intervento è capitato a fagiolo. Nei giorni roventi della polemica io ero impegnato al Tor. Quando sono arrivato un amico mi ha detto, "Pizzolato ha scritto cose pazzesche, sono curioso di vedere cosa gli risponderai".
Ma, pur cercando un po' in rete, non avevo trovato il tuo articolo e questa tua riproposizione ragionata mi è servita a comprendere chi si era scandalizzato del tuo intervento.
Va da sé che ognuno può avere la sua opinione.
Comprendo l'automobilista che s'arrabbia perché non può andare in auto durante la maratona cittadina, così come chi dice che "Chi fa queste ultratrail è il corridore su strada stressato dal cronometro che preferisce la corsa in natura, ma rischia di trovarsi in condizioni di ipoglicemia e debilitazione da affaticamento in cui cala la lucidità: sente di essere andato piano in salita e si butta sulla discesa rischiando, magari al buio e in condizioni atmosferiche avverse."
In entrambi i casi si tratta di persone disinformate.
Nel primo, è un automobilista che non ha letto il giornale, ascoltato la radio, guardato i cartelli stradali e si trova imbottigliato nel giorno della maratona.
Nel secondo, è un esperto di corsa che ama la natura (tanto che predilige allenarsi sui sentieri) ma che non ha mai vissuto quel mondo del trail che è fatto di attenzione e rispetto.
Lo stradista non deve andare a gareggiare in montagna senza passare per un adeguato periodo di acculturamento.
Esattamente come un centometrista non può improvvisare una maratona o un maratoneta un cento metri in pista.
L'ignoranza è pericolosa.
Se dai al tuo bambino piccolo un coltello per la prima volta, devi spiegargli come usarlo.
Se non lo fai è probabile che si tagli.
Non vanno banditi i coltelli dalle tavole, vanno tenuti lontani da chi non sa ancora usarli.
Mentre ho apprezzato la pubblicazione dell'intevento di Leo Soresi (che condivido appieno), mi trovo in disaccordo con l'aver scelto (a distanza di anni) di pubblicare il racconto di Mia Battaglia.
E' un bel resoconto (sicuramente vero) di una situazione estrema.
Quell'anno io ero in gara, nella stessa CCC, alcuni chilometri dietro di loro e l'organizzazione ci ha fermato a Trient e ci ha portato a casa.
Non ci sono stati incidenti gravi, salvo qualche caso di ipotermia.
Pubblicarlo in calce al tuo post è stato, in mia opinione, fuorviante.
La montagna non è rischio gratuito.
Chi corre in montagna non è un dilettante del rischio (anche nell'accezione addomesticata di questa tua "interpretazione autentica").
Chi corre in montagna lo fa per passione e, di solito, con cognizione di causa.
Le morti in montagna di runners sono una minoranza assoluta rispetto agli escursionisti "old style" o agli alpinisti.
Questo non rende meno grave la morte, ma mette in una luce diversa noi che ci corriamo.
Sono stanco di veder demonizzato un ambiente, la montagna assassina delle prime pagine dei giornali, per colpa della voglia di clamore.
Perché nessuno parla di autostrada assassina quando muoiono decine di persone alla settimana? Perché non si fanno pagine scandalistiche quando muore un operaio in un cantiere?
Sono stanco di sentirmi dare del pazzo perché vado in montagna più velocemente degli altri.
Io so quello che sto facendo e corro meno rischi di chi imbroglia alla visita medica per ottenere l'idoneità agonistica per partecipare ad una maratona.
Per uscire dalla polemica ed entrare in una fase costruttiva, mi piacerebbe (ne avevo anche accennato a Daniele Menarini) se riuscissimo a promuovere una tavola rotonda sulla cultura del trail.
Ci sono persone nella redazione di Correre che sono titolate a parlarne.
Leo Soresi e Pietro Trabucchi in primis, ma anche tanti altri come Fulvio Massa o alcuni dei collaboratori che orbitano intorno alla rivista.
Possiamo coinvolgere Spirito Trail e noi di X.RUN diremo la nostra.
Possiamo coinvolgere gli atleti, perché anche tra i top trailer il problema è sentito, anche se mai nessuno di loro, proprio perché esperti, ha avuto problemi.
Possiamo chiedere spazio alla Gazzetta dello Sport ed ottenere una cassa di risonanza che vada oltre il mondo del running.
Io ne ho parlato molto e in varie occasioni.
Una volta di più butto il sassolino nello stagno.
Spero che vi sia un seguito...
Franz Rossi
(editore X.RUN)
marketing@xrun.eu il 30/09/2013 08:57
Il mio punto di vista
Caro Orlando,
mi sono letta l'articolo sulla Gazzetta ,ho letto con molta attenzione cio' che hai scritto su Correre e infine ho letto e riletto le risposte e il dibattito successivo.
Io credo che da quando a scuola non si fa piu' lettura e COMPRENSIONE di un testo, quello che si e' scatenato, è il risultato di una analfabetizzazione di ritorno.Ci sono persone che non sanno esprimersi (e questo NON sei tu) e ci sono persone che non sanno ancora realmente leggere.Io la vedo cosi.Condivido quello che hai espresso ma se anche non lo condividessi ho capito perfettamente quello che volevi dire.Pazienza,alcuni non lo hanno capito.
Cari saluti Orietta Poles
Da POLES ORIETTA il 29/09/2013 04:10
i limiti di chi corre e quelli di chi parla
Caro Orlando, dopo decenni di finti confronti urlati, di talkshow trasformati in guerre simulate, questo modello ancora prevalente nella nostra tv nazionale privata e pubblica ha fato scuola; è diventata modello rendendo gli italiani sordi e aggressivi, cafoni e incivili. Quello che dici nell'articolo, pur sempre con garbo, è il tuo punto di vista e come tale legittimo; si può dissentire, naturalmente ma la bagarre che ha suscitato credo sia la chiara esemplificazione del livello di inciviltà nel quale siamo, come popolo, precipitati. Non si accettano critiche, che vengono prese come offese personali e si risponde con l'aggressione verbale, con l'attacco alla persona anzi che con gli approfondimenti sulle cose, si urla, insomma anche quando si scrive. Mi dispiace che tu, persona così corretta, sia potuto incorrere in un simile polverone.
Da Public il 29/09/2013 01:11