13/10/2004
Poco più di cento sono i metri di dislivello tra la partenza, a Maranello (135m), e l’arrivo in Piazza del Martiri a Carpi (26m). Ma la “discesa” si esaurisce in sostanza tutta entro la prima parte di corsa, vale a dire a Modena (34m), da dove la corsa si svolge praticamente tutta in pianura. E’ la prima parte di gara quindi ad essere quella veloce, e quella quindi che si può sfruttare a proprio favore. In discesa si corre ovviamente più veloci o, quantomeno, a parità d’impegno si spendono meno energie, ed è soprattutto il primo punto quello che il corridore sa sfruttare meglio. Una discesa con la pendenza del 1% (come appunto quella tra Maranello e Modena) consente di guadagnare, a parità di sforzo, da 2 a 4 secondi al chilometro, vale a dire all’incirca un minuto in una discesa di una quindicina di chilometri. Tale situazione è riferita ad un maratoneta di discreto livello di rendimento (3 ore), mentre per i corridori veloci il vantaggio può essere leggermente maggiore.
Molti maratoneti però forzano questa situazione cercando, come si è soliti affermare, di mettere più possibile “fieno in cascina” per i momenti difficili della maratona, notoriamente quelli della seconda parte (quando si lascia Modena). La convinzione di tale scelta deriva dal fatto di accumulare vantaggio sulla tabella di marcia per gestirlo poi nei momenti più duri della maratona, e puntare a conseguire il proprio primato. Questo modo di pensare non è proprio da manuale, a causa di una situazione fisiologica che può determinare invece un aumento della spesa energetica.
Per comprendere il meccanismo bisogna fare riferimento alla mia posizione in corsa, quella del ciclista. Le ruote della mia bici seguono la pendenza della strada ed aumentano di velocità nei punti di maggior pendenza, tanto che per lunghi tratti non devo affatto pedalare. In questo frangente lo sforzo è irrisorio proprio perché approfitto del favorevole piano inclinato. Se volessi approfittarne, farei forza sui pedali e la mia velocità aumenterebbe, anche in modo considerevole, ma di conseguenza crescerebbe anche la spesa energetica.
Ebbene, il maratoneta deve comportarsi in pratica come se fosse seduto in sella ad una bicicletta e si lasciasse portare dalla pendenza della strada, senza però aumentare lo sforzo; pena l’aumento del consumo energetico. Qual è dunque il vantaggio di correre in discesa? Correndo allo stesso impegno che metterebbe in un’altra maratona pianeggiante, il corridore si troverebbe a passare al 15°km con 1’ di vantaggio rispetto alla tabella di marcia prevista per una maratona piatta, ma senza aver speso più energie del dovuto. Molti podisti, invece, non sanno resistere alla tentazione di correre velocemente, favorevolmente sorpresi dal fatto di verificare che il cronometro evidenzia chilometri percorsi ad andatura sostenuta senza apparente fatica. Anche in questo caso il transito al 15° km (nei pressi di Modena) avviene in vantaggio rispetto alla tabella di marcia, ma la spesa energetica determinata sarebbe elevata, forse eccessiva.
Un errore comune questo, specialmente tra i maratoneti amatori, concentrati appunto nel migliorare il proprio primato. Il vantaggio acquisito viene quasi sempre annullato nel secondo tratto di corsa, quello tra Modena e Carpi. Ed il momento in cui si cominciano a pagare gli “interessi” sul bonus acquisito inizialmente è già dal 22°km, quando si deve superare un cavalcavia, ma l’eventuale affaticamento muscolare è evidenziato in maniera netta tra il 24° ed il 25km, allorquando si devono superare altri due cavalcavia. Ho visto proprio in questo punto della gara molti maratoneti “saltare”, e dire addio a velleità di vittoria e cronometriche. Anche se al traguardo mancano “solo” 18km e la strada è praticamente tutta pianeggiante, lo sforzo da sostenere è ancora elevato. Pertanto, alla maratona d’Italia di Carpi è fondamentale (come lo è comunque per tutte le maratone) dosare correttamente le energie, evitando di farsi trasportare dall’euforia dei chilometri iniziali corsi velocemente e senza apparente sforzo. Della maratona è fondamentale aver sempre un po’ di timore per la distanza da percorrere, ed evitare di pensare che “qualche santo poi mi aiuterà”. Il bravo maratoneta sa di dover contare solo sulle proprie gambe e sulla propria testa.