27/10/2010
Ancora più su
Faccio tabelle a svariate decine di podisti ma per i miei allenamenti vivo alla giornata. Beh, non è proprio così, ma imposto le sedute specifiche in relazione agli impegni professionali ed anche alle condizioni climatiche. Così, domenica scorsa ho riposato perché non sarei riuscito a programmare un allenamento significativo: per essere alla partenza a Stra in orario sarei dovuto andare a correre alle 5.30. Il giorno prima avevo svolto una seduta di IT al Parco San Giuliano e per lunedì avevo pensato di fare un medio in salita, ma la bora che spazzava la costa adriatica è dilagata fino a casa mia e la pioggia che scendeva sembrava uscire da una mitragliatrice. Di correre non se ne parlava nemmeno, neppure con giubbotti zavorrati (ma come fanno quelli che si allenano a Trieste?). E se la maratona di Venezia si fosse corsa lunedì sarebbe stata un’ecatombe. Altro che acqua alta. Sarei caduto in mare e sprofondato nel Canal Grande.
La carica psicologica per fare il medio in salita l’ho dovuta reprimere fino ieri, ma è stato meglio così. Le gambe non sarebbero state a posto per spingere. La causa è la pesantezza che deriva dal seguire la maratona in bici. Fosse solo stare a rimorchio del gruppo di testa sarebbe una bazzecola: pedalare a 20km/h serve a rilassare i muscoli. Le tirate me le faccio invece passando da un gruppo ad un altro di corridori. Se il distacco tra due gruppetti è di una sessantina di secondi, rientro sulla testa della corsa in meno di un paio di minuti. Ma quando devo recuperare svantaggi che superano i 90 secondi e la tirata la ripeto alcune volte, mi ritrovo in difficoltà muscolari perché cerco di recuperare spingendo rapporti lunghi che m’impegnano molto, sia sul piano muscolare sia organico. A fine telecronaca, quando scendo dalla bici e muovo i primi passi, sento le cosce gonfie.
Nell’allenamento dell’indomani l’azione di corsa è appesantita e legata. E’ stato quindi meglio non aver tirato lunedì; il rendimento ne avrebbe risentito. Ieri invece, appena libero, sono andato di corsa (in entrambi i sensi, come riscaldamento e come desiderio di correre) ai piedi della salita ed ho affrontato la seduta convinto di trovare sensazioni di contatto diretto con vari elementi di un allenamento impegnativo: sforzo, fatica, disagio, controllo e verifica della reazione del mio corpo. Ed è stato un allenamento produttivo, sotto ogni aspetto appena rilevato. Mi sono divertito a collaudare la mia efficienza.
L’impegno è stato costante perché un errore nell’impostazione dello sforzo si paga a caro prezzo quando si corre in salita. L’acido lattico si può accumulare rapidamente nei muscoli e asfissiare ogni illusione. Il solo momento di disagio è stato quello iniziale, a causa di un indolenzimento muscolare ai polpacci. Per i primi due chilometri li sentivo gonfi, senza un motivo specifico. Ho pensato che forse risentivo ancora della pedalata di domenica, ma credo invece che il gonfiore potesse dipendere dall’uso delle scarpe leggere. Da un paio di settimane mi sono imposto, infatti, di svolgere gli allenamenti tirati evitando il modello pesante. Il rendimento è migliore ma sento che quando faccio il riscaldamento, e quindi corro piano, la scarpa leggera mi fa usare di più i muscoli dei polpacci, con conseguente gonfiore. Non mi sono accorto il momento in cui è passato, ma al terzo chilometro spingevo bene e correvo sciolto, per quanto correre in salita non sia mai un’azione agile.
Degli undici in salita, sette li corro su strada asfalta. Il traffico è piuttosto scarso. La parte più particolare del percorso è quando il fondo diventa sterrato. Lasciata una contrada la strada procede con sette tornanti in mezzo al bosco. Auto non ne passano. Gli unici rumori sono quelli del bosco, del vento sui rami spogli, e lo scricchiolio dei sassi sotto le suole delle scarpe. Non sento il suono del mio respiro perché lo percepisco già quando parte dai polmoni e non avverto il sibilo dell’aria che esce dalla bocca. Sono certo sia il suono più forte e in quel silenzio si potrebbe percepire qualche centinaio di metri prima del mio arrivo.
La volta precedente, in un’analoga seduta, mi ero fermato al nono chilometro, in prossimità del piazzale della località Colletto di Velo. Stavolta ho proseguito: avevo a disposizione un’altra dozzina di minuti. Era da tanto tempo che non percorrevo il tratto che stavo affrontando. Invitante il primo mezzo chilometro: la pendenza era morbida e la strada rossastra s’insinuava nella costa del monte Sommano. A destra, in lontananza, scorgevo la campagna dell’alto vicentino. Sotto di me serpeggiavano le stradine percorse qualche chilometro prima. Apparivano piccole, perché lontane. Poco dopo però la pendenza della strada aumentava considerevolmente. Il fondo era di cemento per garantire maggior tenuta alle auto. Lo sforzo inevitabilmente aumentava perché dovevo imprimere più forza alle spinte. Lo sguardo cadeva davanti a me di un paio di passi. Foglie umide e marce erano solo ciò che vedevo. Il vento mi soffiava in faccia aria fredda. Il sudore però mi scaldava ancora un po’ il corpo. Il respiro si condensava nell’aria a formare piccole nuvole. Alla fine dello sforzo mancavano ancora un paio di minuti. Il tempo necessario per arrivare dove le scarpe lasciavano una leggera impronta. La prima neve dell’autunno è stato il punto del mio arrivo. Sarei potuto andare oltre, certamente, ma quelle tracce erano già un bel traguardo.
Orlando
La carica psicologica per fare il medio in salita l’ho dovuta reprimere fino ieri, ma è stato meglio così. Le gambe non sarebbero state a posto per spingere. La causa è la pesantezza che deriva dal seguire la maratona in bici. Fosse solo stare a rimorchio del gruppo di testa sarebbe una bazzecola: pedalare a 20km/h serve a rilassare i muscoli. Le tirate me le faccio invece passando da un gruppo ad un altro di corridori. Se il distacco tra due gruppetti è di una sessantina di secondi, rientro sulla testa della corsa in meno di un paio di minuti. Ma quando devo recuperare svantaggi che superano i 90 secondi e la tirata la ripeto alcune volte, mi ritrovo in difficoltà muscolari perché cerco di recuperare spingendo rapporti lunghi che m’impegnano molto, sia sul piano muscolare sia organico. A fine telecronaca, quando scendo dalla bici e muovo i primi passi, sento le cosce gonfie.
Nell’allenamento dell’indomani l’azione di corsa è appesantita e legata. E’ stato quindi meglio non aver tirato lunedì; il rendimento ne avrebbe risentito. Ieri invece, appena libero, sono andato di corsa (in entrambi i sensi, come riscaldamento e come desiderio di correre) ai piedi della salita ed ho affrontato la seduta convinto di trovare sensazioni di contatto diretto con vari elementi di un allenamento impegnativo: sforzo, fatica, disagio, controllo e verifica della reazione del mio corpo. Ed è stato un allenamento produttivo, sotto ogni aspetto appena rilevato. Mi sono divertito a collaudare la mia efficienza.
L’impegno è stato costante perché un errore nell’impostazione dello sforzo si paga a caro prezzo quando si corre in salita. L’acido lattico si può accumulare rapidamente nei muscoli e asfissiare ogni illusione. Il solo momento di disagio è stato quello iniziale, a causa di un indolenzimento muscolare ai polpacci. Per i primi due chilometri li sentivo gonfi, senza un motivo specifico. Ho pensato che forse risentivo ancora della pedalata di domenica, ma credo invece che il gonfiore potesse dipendere dall’uso delle scarpe leggere. Da un paio di settimane mi sono imposto, infatti, di svolgere gli allenamenti tirati evitando il modello pesante. Il rendimento è migliore ma sento che quando faccio il riscaldamento, e quindi corro piano, la scarpa leggera mi fa usare di più i muscoli dei polpacci, con conseguente gonfiore. Non mi sono accorto il momento in cui è passato, ma al terzo chilometro spingevo bene e correvo sciolto, per quanto correre in salita non sia mai un’azione agile.
Degli undici in salita, sette li corro su strada asfalta. Il traffico è piuttosto scarso. La parte più particolare del percorso è quando il fondo diventa sterrato. Lasciata una contrada la strada procede con sette tornanti in mezzo al bosco. Auto non ne passano. Gli unici rumori sono quelli del bosco, del vento sui rami spogli, e lo scricchiolio dei sassi sotto le suole delle scarpe. Non sento il suono del mio respiro perché lo percepisco già quando parte dai polmoni e non avverto il sibilo dell’aria che esce dalla bocca. Sono certo sia il suono più forte e in quel silenzio si potrebbe percepire qualche centinaio di metri prima del mio arrivo.
La volta precedente, in un’analoga seduta, mi ero fermato al nono chilometro, in prossimità del piazzale della località Colletto di Velo. Stavolta ho proseguito: avevo a disposizione un’altra dozzina di minuti. Era da tanto tempo che non percorrevo il tratto che stavo affrontando. Invitante il primo mezzo chilometro: la pendenza era morbida e la strada rossastra s’insinuava nella costa del monte Sommano. A destra, in lontananza, scorgevo la campagna dell’alto vicentino. Sotto di me serpeggiavano le stradine percorse qualche chilometro prima. Apparivano piccole, perché lontane. Poco dopo però la pendenza della strada aumentava considerevolmente. Il fondo era di cemento per garantire maggior tenuta alle auto. Lo sforzo inevitabilmente aumentava perché dovevo imprimere più forza alle spinte. Lo sguardo cadeva davanti a me di un paio di passi. Foglie umide e marce erano solo ciò che vedevo. Il vento mi soffiava in faccia aria fredda. Il sudore però mi scaldava ancora un po’ il corpo. Il respiro si condensava nell’aria a formare piccole nuvole. Alla fine dello sforzo mancavano ancora un paio di minuti. Il tempo necessario per arrivare dove le scarpe lasciavano una leggera impronta. La prima neve dell’autunno è stato il punto del mio arrivo. Sarei potuto andare oltre, certamente, ma quelle tracce erano già un bel traguardo.
Orlando
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Ciao Orlando, dopo aver percorso gli 11 km di medio in salita con le superleggere, ripercorri la stessa distanza anche in discesa con le superleggere ? Grazie Paolo
Public28/10/2010 22:36:48
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@info@dcd.it Avrei dovuto percorrere 1-2km in discesa, per defaticare, ma il fondo era scivoloso per la neve e la pioggia, e poi faceva freddo (2-3°) e tirava vento. Sono salito in macchina. Faccio poca discesa a piedi; non mi piace e serve poco. Così mia moglie mi da assistenza in auto.
Pizzolato Orlando29/10/2010 09:22:08