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maggio 2016

05/05/2016

(Stra) Potere keniano... e non solo!

Per partecipare alle Olimpiadi non è sufficiente essere un forte atleta, come si può pensare: ci vuole invece anche fortuna.

In che senso?

E' meglio non nascere in un Paese atleticamente evoluto, specialmente per le corse di resistenza, altrimenti non è affatto sufficiente conseguire il tempo limite che pone la Federazione Internazionale.

Un esempio? La IAAF ha fissato in 2h19' il tempo limite per poter partecipare alla maratona maschile di Rio de Janeiro. Questa situazione rende scontenti oltre 410 maratoneti keniani che hanno già conseguito il cosiddetto "minimo".

La Federazione Keniana è stata ovviamente più "severa" della IAAF, ed ha posto un tempo limite di 2h13'. Facile immaginare che anche in questo caso tantissimi keniani non potranno partecipare alle Olimpiadi. Da gennaio 2015, momento in cui si ritengono validi i "tempi minimi”, e fino a domenica scorsa, sono ben 201 i keniani che hanno fatto meglio (e c'è tempo fino a metà luglio!).

E parliamo solo dei keniani! Quando sappiamo che altre nazioni, perlopiù africane, hanno simili quantità e qualità di atleti.

Una domanda: se tutti i corridori che conseguono il "minimo" potessero partecipare alle Olimpiadi o ai Campionati Mondiali (e non solo 3 atleti per Nazione), che tipo di gare sarebbero? Ci sarebbe ancora posto per i bianchi?

Io credo che le possibilità di vincere una medaglia sarebbero inesistenti.



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Commenti

forse non ora...

intendo cogliere questo articolo come spunto per approfondire un discorso a me caro. Si suol attribuire questo strapotere degli atleti africani nella corsa di endurance ma anche negli sprint alla genetica o all' abitudine alla corsa fin da bambini. Ma volgendo lo sguardo ad oriente e guardando i risultati di atleti giapponesi qualche dubbio in me nasce. Se si trattasse per lo più di disciplina e di capacità di soffrire?

Stefano P05/05/2016 15:15:32

Disciplina

La tua ipotesi è corretta: gli allenatori di atleti africani, che in buona parte sono italiani, affermano che i corridori di questi Paesi sono molto disciplinati, oltre che determinati a faticare e ad affrontare i disagi degli impegnativi allenamenti che svolgono. La consapevolezza che la corsa può portarli ad un tenore di vita migliore, sono disposti a sostenere carichi di allenamento (svolti al mattino molto presto, quasi sempre alle 6 del mattino) che i bianchi faticano a tenere per lunghi periodi di carico. Poter sostenere regimi di allenamento impegnativi è ovviamente possibile anche per buone capacità di recupero, aspetto che si ottimizza quando si vive in maniera semplice e naturale, proprio come avviene in questi Paesi. Il rendimento che questi corridori hanno è certamente sostenuto da doti atletiche genetiche, ma è dimostrato che con il livello attuale di agonismo, queste caratteristiche non sono più sufficienti per primeggiare.

In Giappone, la disciplina, l'impegno e la determinazione non sono affatto da meno. I corridori nipponici non hanno però un talento eccelso come gli africani.

orlando05/05/2016 16:43:40

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