13/04/2004
La prestazione che Paula Radcliffe ha conseguito alla maratona di Londra del 2003 ha sorpreso tutti. Già con la prestazione cronometrica ottenuta al suo esordio (poi confermata dal miglioramento del primato femminile in occasione della maratona di Chicago 2002), si era compreso che la maratona femminile era entrata nell’era dominata da questa ventinovenne inglese. Solo alla maratona di Londra si è però compreso che Radcliffe è una maratoneta di portata non comune rispetto al resto del movimento femminile.
Ma
cosa può essere successo a Radcliffe, o meglio, cos’ha fatto
l’inglese per migliorare così tanto sul piano tecnico ed arrivare a
correre così velocemente? Noi tutti ce la ricordiamo come la perdente
per antonomasia, perché regolarmente soccombeva alle volate delle
africane. Sia su pista, sia sui cross - ma anche su strada - dopo aver
tirato per tutta la gara nell’intento di fiaccare la resistenza delle
avversarie, Paula non era poi in grado di sostenere i cambi di ritmo
delle africane e così si doveva accontentare di un piazzamento di
rincalzo, e spesso non riusciva nemmeno a salire sul podio.
La
carenza principale della Radcliffe era evidenziata dalla mancanza di
velocità finale, mentre Paula non aveva problemi a sostenere andature
elevate per gran parte della competizione. Ma la sua “resistenza alla
velocità” non era tale da staccare le avversarie prima della volata.
Probabilmente le tante sconfitte patite nei principali appuntamenti
agonistici hanno indotto Radcliffe a rivedere alcune scelte tecniche,
oltre che a provare la strada della maratona, e così da brutto
anatroccolo (anche dal punto di vista estetico della sua azione di
corsa) si è trasformata in cigno. Intendiamoci, il suo stile di corsa
non è eccelso, soprattutto per quanto riguarda quel suo caratteristico
ciondolare con la testa, anche se sotto questo aspetto ha fatto dei
progressi grazie a sedute di training autogeno, ma la metamorfosi si è
attuata proprio sotto l’aspetto tecnico. Andiamo ad analizzare su
quali punti Radcliffe ha maggiormente lavorato per diventare una
maratoneta “stratosferica”.
Successivamente
alle Olimpiadi di Sydney, Radcliffe ha iniziato a pensare alla maratona,
fissando dapprima un obiettivo agonistico parziale: correre la mezza
maratona in un contesto agonistico importante come il campionato del
mondo di Veracruz. La verifica fu positiva perché vinse il titolo
mondiale, ed anche il riscontro cronometrico fu rilevante
(1h09’07”), soprattutto se si considera che le condizioni climatiche
erano molto disagevoli (32° ed un elevato tasso di umidità). In campo
maschile, la corsa fu vinta, con qualche disagio, da Tergat in
1h03’47”; se si considera che il keniano in quel periodo era in
grado di percorrere la distanza in poco meno di un’ora, si può
comprendere come il potenziale di Radcliffe fosse molto maggiore
rispetto a quanto evidenziato dalla sua prestazione cronometrica.
Nel
preparare le maratone di Londra e di Chicago 2002, Radcliffe ha seguito
un regime di 240 chilometri settimanali, svolgendo quattro allenamenti
di qualità a livello della capacità aerobica e della potenza aerobica
per un totale di 65 chilometri.
Ciò
evidenzia un’elevata specializzazione verso la maratona, e questo è
rilevato dal fatto che i suoi primati in pista (5km in 14’31” e 10km
in 30’01”) sono alquanto inferiori rispetto al potenziale della sua
prestazione in maratona. Il tempo di 2h15’25” in maratona vale le
seguenti prestazioni in pista: 5km in 14’21”, 10km in 29’24”. I
primati che Radcliffe ha su queste distanze più corte sono stati
tuttavia condizionati: il primo è stato ottenuto con una preparazione
non particolarmente specifica perché Paula in quel periodo si stava
preparando per la maratona di Chicago, il secondo è stato ottenuto con
condizioni climatiche impossibili a causa di un violentissimo
acquazzone. Anche il tempo che Paula ha fatto registrare sui 10km su
strada (30’21”) è condizionato dal clima. L’inglese ha ottenuto
questa migliore prestazione mondiale in occasione di una gara tenutasi a
febbraio, in Portorico, con un clima tipicamente tropicale, ed anche in
questo caso la sua preparazione non era da specialista su questa
distanza visto che due mesi dopo avrebbe corso alla maratona di Londra.
Per
inciso, prima di Londra 2003 ha corso in allenamento un 10.000 in 31’
e 24 miglia (38,5 km) in 2h14’.
La
preparazione per i più importanti appuntamenti Paula la svolge in
altura.
Ha scelto Albuquerque (New Mexico) come sede di allenamento per
la preparazione alle maratone, mentre è Font Romeau (Pirenei) la sede
degli allenamenti estivi (gare corte). La scelta di queste due località
è condizionata dalla durata del soggiorno. Ad Albuquerque (1600 metri
sul livello del mare), Paula ci rimane per alcuni mesi (quattro in
inverno e due in tarda estate). Allenarsi ad una quota non troppo
elevata permette di evitare il forte disagio indotto dalla carenza di
ossigeno, e quindi sostenere con profitto gli allenamenti ad intensità
media, ma prolungati nel tempo, tipici del maratoneta. Trascorrere
lunghi tempi in altura consente all’organismo di sviluppare
adattamenti molto stabili, e quindi più efficaci per far fronte ai
disagi della rarefazione dell’ossigeno, oltre ad essere in grado di
affrontare con meno problemi alcune sedute svolte a quote superiori
(2000-2300m sulle montagne circostanti Albuquerque).
A
Font Romeau (2000 metri) Paula ci rimane solo per 3-4 settimane, giusto
per preparare le gare corte (5 e 10 mila metri), e si limita a svolgere
allenamenti ad intensità più elevata rispetto a quella che sostiene
nel corso della preparazione alla maratona. A Font Romeau, sede di
allenamento di francesi e spagnoli, ci sono molte meno occasioni per
sostenere lunghi chilometraggi, e si concentra maggiormente nelle sedute
in pista.
E’ probabile che sia questo l’aspetto che maggiormente incide sul rendimento della maratoneta inglese. Paula Radcliffe è seguita da un fisioterapista, Gary Hatmann, il quale ha dichiarato all’indomani della prestazione di Londra 2003, che ha sottoposto Paula anche a quattro ore di trattamenti fisioterapici e di massaggi. L’obiettivo di queste cure particolarmente prolungate alle quali Radcliffe si è sottoposta da febbraio in poi, è quello di mantenere l’organismo in generale, ma soprattutto la muscolatura e i tendini, in condizioni tali da sostenere e recuperare al meglio l’elevato carico cui Paula si sottopone.
Non tutti sono a conoscenza che Paula, tre settimane dalla maratona di
Londra, è stata investita da un ciclista di Albuquerque mentre stava
facendo un lunghissimo. L’impatto con il ciclista e con l’asfalto è
stato particolarmente forte, tanto che Paula ha dovuto portare un
collare perché si temeva una dislocazione vertebrale, oltre ad essersi
verificata una lussazione mandibolare. Le radiografie hanno escluso la
dislocazione vertebrale, ma confermata la lussazione della mandibola;
numerose erano anche le contusioni e le escoriazioni. Per una settimana
Paula non ha potuto comunque alimentarsi con cibi solidi, a causa
appunto della lussazione della mandibola, e ha seguito un regime
alimentare a base di liquidi e di ostriche, queste ultime per il loro
ricco contenuto di ferro. All’ospedale di Albuquerque avevano
dichiarato che i tempi di guarigione dei traumatismi non sarebbero stati
inferiori ai quindici giorni, ma Paula è stata in grado di riprendere
ad allenarsi già quattro giorni dopo l’incidente. Il segreto di tale
rapida ripresa è dipeso, secondo Hartmann, da uno speciale trattamento
a cui Paula è stata sottoposta da un medico australiano. Questo dottore
ha applicato terapie usate dagli aborigeni, ed il prodotto che ha
garantito la completa ristabilizzazione dell’inglese è il grasso di
emu, al quale gli aborigeni attribuiscono particolari doti terapeutiche.
Altri trattamenti fisioterapici particolari che Hartmann applica su Paula
sono i bagni di vasocostrizione. Dopo ogni seduta particolarmente
impegnativa e stressante, Paula fa un bagno di quindici minuti di acqua
e ghiaccio. Dapprima Paula immerge le gambe in una vasca d’acqua
fredda, e successivamente il fisioterapista aggiunge del ghiaccio. A
questo trattamento Radcliffe si sottopone anche la sera prima delle gare
e dopo ogni competizione. Paula ammette che questo bagno inizialmente
era traumatico da affrontare, ma ora è diventato routine quasi
quotidiana, ed è molto utile per favorire il recupero muscolare ed
annullare i processi d’infiammazione da sovraccarico che possono
verificarsi in seguito all’elevato carico di allenamento.
Anche
le lunghe calze che Paula usa sia in allenamento sia in gara (e che
inizialmente la contraddistinguevano) hanno uno scopo terapeutico.
Inizialmente si pensava che queste lunghe calze (che ora non sono più
scure perché a detta di Paula la gente concentrava la propria
attenzione su questo capo d’abbigliamento e non sul gesto sportivo)
servissero per tenere calda la sua muscolatura. In realtà Paula, che ha
dei leggeri problemi con le vene varicose, mette questi calzettoni
elastici per favorire la circolazione del sangue. Hartmann non
attribuisce comunque un particolare vantaggio nell’uso delle calze
durante la gara, bensì pensa che il loro effetto ed applicazione siano
di gran lunga più evidenti in allenamento. La Radcliffe usa questi
calzettoni elastici per limitare il traumatismo muscolare conseguente
agli impatti del piede con il terreno e alla contrazione della fase di
spinta. Secondo lei l’affaticamento muscolare è molto minore quando
corre indossando le calze.
Paula,
se non si è ancora capito, oltre ad essere un’atleta particolarmente
esigente, è anche molto meticolosa. La preparazione alla gara inizia già
la sera precedente. Alle 17,00 si sottopone al bagno di ghiaccio, alle
18,00 cena e alle 19,00 chiude le finestre e va dormire. La sveglia è
fissata quattro ore prima del via della gara (alle 5,45 a Londra). La
giornata inizia con la colazione: porridge (una specie di crema di
cereali cotta in acqua o latte: il classico porridge inglese è a base
di avena), miele e una banana, e prosegue con un leggero massaggio. In
attesa della gara ascolta un po’ di musica, ed ha un nastro
appositamente preparato per i momenti pre gara. Si tratta di musica
motivazionale ed il brano che preferisce è di Tina Turner: Simply the
best. La fase di riscaldamento inizia trenta minuti prima della
partenza: corre per 10’ a ritmo lento, ai quali seguono alcuni
esercizi di mobilità articolare (tronco e bacino) e stretching, per
proseguire con altri 5’ di corsa e allunghi di 50 metri.
In
gara riesce a concentrarsi totalmente su se stessa e sullo sforzo che
deve sostenere. A Londra è andata in crisi un paio di volte per dei
problemi di stomaco, e per estraniarsi dai disagi causati da tale
situazione - ma allo stesso tempo per non perdere il ritmo - s’è
imposta di contare fino a 100. Lo ha fatto per tre volte, per un totale
di 300 quindi, che in pratica sarebbero i secondi necessari a Paula per
percorrere un miglio. In questo modo distoglie il pensiero dal disagio.
Paula non usa il test di Yasso come metodo per individuare il tempo che
ottiene in maratona, ma tuttavia esiste un legame tra la Radcliffe e la
prova ideata dal maratoneta americano. Recentemente ho letto che ci sono
ancora dei podisti che non riconoscono il test di Yasso come prova utile
ad identificare il tempo che si può valere in maratona. Confermo invece
che un test correttamente svolto è molto indicativo circa la
prestazione cronometrica che si può ottenere in maratona, a patto che
esistano dei precisi presupposti tecnici: corretta impostazione dei
parametri della seduta, adeguato allenamento alla maratona,
alimentazione, condizioni ambientali, scorrevolezza del percorso di
gara, ecc.
Ma ecco il legame di
Radcliffe e Yasso. Paula, a 10 giorni dalla maratona, ha corso una
seduta di 8x1000 metri in 2’48” – 2’50” con 400m di recupero
percorsi in 1’50/2’. Se il tempo di percorrenza delle prove sui 1000
metri viene rapportato alla distanza di 800m, si evidenzia che
l’ipotetico test di Yasso prevedeva per Paula un tempo compreso tra
2h14’/2h16’.
L’attendibilità del test di Yasso sta nell’abilità dell’atleta a gestire lo sforzo del test e le energie in gara. Torno una volta di più a sottolineare che è l’esito del test di Yasso a determinare il tempo che si può fare in maratona, e non il contrario: non si deve cadere nella trappola mentale di pensare che, se voglio ottenere una prestazione di 3h30’, devo percorrere le prove in quel tempo. Non si devono mettere i buoi davanti al carro.
Di seguito riporto i tempi di passaggio delle tre maratone da lei corse.
Analisi delle maratone di Paula
Radcliffe: negative split
LUOGO |
TEMPO
FINALE |
PRIMA
PARTE |
SECONDA
PARTE |
DIFFERENZIALE |
Londra
2002 |
2h18’56” |
1h11’04” |
1h07’52” |
-
3’12” |
Chicago
2002 |
2h17’18” |
1h09’05” |
1h08’13” |
-
52” |
Londra
2003 |
2h15’25” |
1h08’02 |
1h07’23 |
-
39” |
Alla
fine di questo pezzo spero che molti di voi possano trovare, tra le
notizie riportate, indicazioni ed insegnamenti utili per cercare spunti
utili a migliorare il proprio rendimento. Personalmente trovo che
Radcliffe rappresenti un personaggio particolarmente stimolante e
motivante, perché è stata in grado di far tesoro delle sconfitte
subite, senza che queste risultassero demotivanti per la sua attività.
Posso garantire che Paula non è il prototipo di atleta robot ma è invece una persona normale, certamente con un livello di determinazione e motivazione molto marcato, aspetto che non può essere carente in un campione. Insomma, una ragazza che sa quello che vuole, e sembra che i suoi desideri non siano ancora tutti esauditi.