28/09/2010
La mia gara a Berlino
Per capire se ero motivato ad affrontare la maratona, prima di uscire dalla stanza dell’hotel mi sono chiesto cosa avrei fatto al posto di correre. Non ho trovato una risposta efficace. Avrei potuto leggere, scrivere, guardare un film, fare due passi, ascoltare della musica, tutte cose che avevo già fatto poco prima.
Benché avessi dormito bene, quasi otto ore, poco prima delle cinque ero sveglio. E’ l’orologio interno che mi desta. Puntualmente! Forse c’era anche il contributo di un po’ adrenalina, ma proprio un pizzico, una dose di pepe più che di sale, perchè neppure quando mi sono appartato in luogo poco piovoso in prossimità della partenza avvertivo tensione. L’attesa mi annoiava. Avrei voluto essere già partito. Il desiderio prevalente era di percorrere la distanza nel minor tempo possibile per mettermi all’asciutto. Le nuvole plumbee quasi ci toccavano la testa, e ci sono riuscite con una fitta pioggia iniziata a cadere una manciata di minuti prima del via, quando i maratoneti si erano spogliati. Pioggia fantozziana. Situazione prevedibile!
A tre minuti dal via mi sono spogliato. E’ stato in quel momento che l’impegno mentalmente sempre procrastinato ha bussato al mio cervello. E’ proprio vero: il colpo di pistola mobilizza le energie e a quel punto si fa come tutti, ci si proietta in avanti. Si corre “e devo cercare di farlo al meglio”, mi sono ripetuto chilometro dopo chilometro.
Pezzi di strada e di gente che passavano regolarmente, più o meno ogni quattro minuti. E’ stato il momento più piacevole della corsa perché dopo alcune settimane di gambe turgide, finalmente i muscoli non mi segnalavano nulla. Il mio cervello era disorientato da questa mancanza di avvisaglie. Perché preoccuparsi dunque? Corro, con tanta gente che continua a superarmi, ma evito di piegarmi alle folate dei tanti che mi passano. Mi sentivo come un giunco avvolto dal vento autunnale. Che trappola sarebbe stata farmi prendere dell’euforia della mancanza di fatica.
Mi sono piazzato in mezzo alla strada dove l’asfalto era un po’ rialzato e l’acqua scorreva così di lato, e dove evitavo gli spostamenti di chi aveva bisogno di bere e di integratori. Il passo è sempre stato buono e lo controllavo ogni chilometro, ma passato il primo quarto di corsa mi sono prefissato di prendere i riferimenti solo nelle frazioni di cinque chilometri. Ho superato bene una strana crisi al diciottesimo chilometro. Non capisco perché mi sia trovato a procedere appesantito. C’era sempre gente che mi superava. Io non passavo nessuno invece. Eppure non rallentavo e non acceleravo. Avevo un punto di riferimento davanti a me: un corridore che procedeva al mio passo da parecchi chilometri. Siamo sempre stati distanziati di una ventina di metri. Era il mio faro. Non calavo io. Non mi staccava lui. Eppure altri ci passavano. Ed è passata anche la mia crisi, un paio di chilometri dopo. Ricorrevo facile e non ero stanco. Anzi, le gambe giravano bene.
Onestamente mi stavo annoiando. Non c’era nulla da guardare. Lunghi rettilinei convergono su altre lunghe strade. Gente in mezzo e gente di lato. A cosa pensavo per far passare il tempo? Lo sguardo cadeva sempre dieci metri avanti. Vedevo pozzanghere dove la pioggia faceva centro, allargando piccole corolle tristi. A volte erano fitte, a volte più rade. Se non guardavo per terra non sentivo la pioggia, ma gocce scorrevano sul viso. Mi sforzavo di osservare la gente che applaudiva nell’attesa che succedesse qualche cosa. Ho accarezzato il palmo morbido delle mani di qualche bambino. Chissà loro a cosa pensavano, ma credo che non capissero perché tutti quelli come me corressero. Io cercavo compagnia nei numeri. Non sapevo dove mettere lo sguardo.
Le strade di questa città potrebbero essere quelle di un’altra. Non sapevo neppure leggerle. Dovevo far passare il tempo che tutto sommato scorreva anonimo. Decido per un posto più semplice: mi restano da percorrere quindici giri. Che strano: quando mi allenavo a casa il mio pensiero correva tra le strade di questa città. Quando c’ero, il pensiero è invece scappato a casa. Avevo bisogno della campagna. Di strade vuote, strette, silenziose e solitarie, appena illuminate dalla carezza dell’aurora e di qualche stella che mi consenta di capire che sto procedendo dritto verso un punto. Mi sentivo bene ad immaginare la palestra di tanti chilometri, che mi sembravano più corti di questi.
Ed è arrivato il momento di superare. Sfioro corpi esausti, privi di energie. Anche sulle mie non posso fare particolare affidamento e non posso neppure dare per scontato che le gambe mi portino al traguardo. Da una decina di chilometri avverto la tensione di forze che si tendono dentro i polpacci. Non voglio rischiare perché al traguardo voglio arrivare. Neppure questa cantilena distoglie il mio pensiero. Cinque, quattro, tre … ma non sono i chilometri che mancano alla fine della maratona, ma i giri che devo percorrere nella mia campagna per terminare lo sforzo. Per l’aritmetica è la stessa distanza, ma per il mio pensiero è diverso. Lo sforzo che sto facendo lo sento più personale immaginandomi di girare là dove ho buttato tanto sudore.
E dal cartello del 41° chilometro vedo la porta di Brandeburgo. Ci passo sotto (credo), e non me ne accorgo. Da lì ancora un pezzo di strada, come dal cespuglio largo a destra all’ultima vite. Sulla striscia di asfalto rattoppato premo il tasto del cronometro. Sono arrivato. Adesso mi posso fermare. Cammino un po’ e sento i muscoli affaticati, i piedi indolenziti, la maglietta bagnata. Prendo fiato ed assaporo gli istanti che precedono la rivelazione dei tempi. La curiosità di verificare com’è andata. Ed è andata bene, come pensavo. Non mi resta che portare il mio corpo indolenzito al riposo. Improvvisamente una mano si allunga davanti a me. Un nastro colorato pende. Lo afferro. E’ una medaglia. La prendo? La lascio? Danke schon. La tengo in mano ma non la sento.
Quante volte, nelle mattine solitarie, mi sono impegnato in un braccio di ferro tra muscoli e neuroni, tra corpo e mente. Quanti sacrifici e quanti sforzi come questo. Nulla di particolarmente diverso. Adesso, e come sempre, sensazioni comuni: mal di gambe, fatica e stanchezza. Quanti giri ho inanellato pensando di essere in un altro posto e quante volte mi sarei messo al collo una medaglia per gli sforzi fatti. Adesso che la sento pesante in mano la faccio scivolare nella borsa. Non è necessario metterla al collo. Questo è per gli altri. Per me è stato un giorno come un altro.
Orlando
Benché avessi dormito bene, quasi otto ore, poco prima delle cinque ero sveglio. E’ l’orologio interno che mi desta. Puntualmente! Forse c’era anche il contributo di un po’ adrenalina, ma proprio un pizzico, una dose di pepe più che di sale, perchè neppure quando mi sono appartato in luogo poco piovoso in prossimità della partenza avvertivo tensione. L’attesa mi annoiava. Avrei voluto essere già partito. Il desiderio prevalente era di percorrere la distanza nel minor tempo possibile per mettermi all’asciutto. Le nuvole plumbee quasi ci toccavano la testa, e ci sono riuscite con una fitta pioggia iniziata a cadere una manciata di minuti prima del via, quando i maratoneti si erano spogliati. Pioggia fantozziana. Situazione prevedibile!
A tre minuti dal via mi sono spogliato. E’ stato in quel momento che l’impegno mentalmente sempre procrastinato ha bussato al mio cervello. E’ proprio vero: il colpo di pistola mobilizza le energie e a quel punto si fa come tutti, ci si proietta in avanti. Si corre “e devo cercare di farlo al meglio”, mi sono ripetuto chilometro dopo chilometro.
Pezzi di strada e di gente che passavano regolarmente, più o meno ogni quattro minuti. E’ stato il momento più piacevole della corsa perché dopo alcune settimane di gambe turgide, finalmente i muscoli non mi segnalavano nulla. Il mio cervello era disorientato da questa mancanza di avvisaglie. Perché preoccuparsi dunque? Corro, con tanta gente che continua a superarmi, ma evito di piegarmi alle folate dei tanti che mi passano. Mi sentivo come un giunco avvolto dal vento autunnale. Che trappola sarebbe stata farmi prendere dell’euforia della mancanza di fatica.
Mi sono piazzato in mezzo alla strada dove l’asfalto era un po’ rialzato e l’acqua scorreva così di lato, e dove evitavo gli spostamenti di chi aveva bisogno di bere e di integratori. Il passo è sempre stato buono e lo controllavo ogni chilometro, ma passato il primo quarto di corsa mi sono prefissato di prendere i riferimenti solo nelle frazioni di cinque chilometri. Ho superato bene una strana crisi al diciottesimo chilometro. Non capisco perché mi sia trovato a procedere appesantito. C’era sempre gente che mi superava. Io non passavo nessuno invece. Eppure non rallentavo e non acceleravo. Avevo un punto di riferimento davanti a me: un corridore che procedeva al mio passo da parecchi chilometri. Siamo sempre stati distanziati di una ventina di metri. Era il mio faro. Non calavo io. Non mi staccava lui. Eppure altri ci passavano. Ed è passata anche la mia crisi, un paio di chilometri dopo. Ricorrevo facile e non ero stanco. Anzi, le gambe giravano bene.
Onestamente mi stavo annoiando. Non c’era nulla da guardare. Lunghi rettilinei convergono su altre lunghe strade. Gente in mezzo e gente di lato. A cosa pensavo per far passare il tempo? Lo sguardo cadeva sempre dieci metri avanti. Vedevo pozzanghere dove la pioggia faceva centro, allargando piccole corolle tristi. A volte erano fitte, a volte più rade. Se non guardavo per terra non sentivo la pioggia, ma gocce scorrevano sul viso. Mi sforzavo di osservare la gente che applaudiva nell’attesa che succedesse qualche cosa. Ho accarezzato il palmo morbido delle mani di qualche bambino. Chissà loro a cosa pensavano, ma credo che non capissero perché tutti quelli come me corressero. Io cercavo compagnia nei numeri. Non sapevo dove mettere lo sguardo.
Le strade di questa città potrebbero essere quelle di un’altra. Non sapevo neppure leggerle. Dovevo far passare il tempo che tutto sommato scorreva anonimo. Decido per un posto più semplice: mi restano da percorrere quindici giri. Che strano: quando mi allenavo a casa il mio pensiero correva tra le strade di questa città. Quando c’ero, il pensiero è invece scappato a casa. Avevo bisogno della campagna. Di strade vuote, strette, silenziose e solitarie, appena illuminate dalla carezza dell’aurora e di qualche stella che mi consenta di capire che sto procedendo dritto verso un punto. Mi sentivo bene ad immaginare la palestra di tanti chilometri, che mi sembravano più corti di questi.
Ed è arrivato il momento di superare. Sfioro corpi esausti, privi di energie. Anche sulle mie non posso fare particolare affidamento e non posso neppure dare per scontato che le gambe mi portino al traguardo. Da una decina di chilometri avverto la tensione di forze che si tendono dentro i polpacci. Non voglio rischiare perché al traguardo voglio arrivare. Neppure questa cantilena distoglie il mio pensiero. Cinque, quattro, tre … ma non sono i chilometri che mancano alla fine della maratona, ma i giri che devo percorrere nella mia campagna per terminare lo sforzo. Per l’aritmetica è la stessa distanza, ma per il mio pensiero è diverso. Lo sforzo che sto facendo lo sento più personale immaginandomi di girare là dove ho buttato tanto sudore.
E dal cartello del 41° chilometro vedo la porta di Brandeburgo. Ci passo sotto (credo), e non me ne accorgo. Da lì ancora un pezzo di strada, come dal cespuglio largo a destra all’ultima vite. Sulla striscia di asfalto rattoppato premo il tasto del cronometro. Sono arrivato. Adesso mi posso fermare. Cammino un po’ e sento i muscoli affaticati, i piedi indolenziti, la maglietta bagnata. Prendo fiato ed assaporo gli istanti che precedono la rivelazione dei tempi. La curiosità di verificare com’è andata. Ed è andata bene, come pensavo. Non mi resta che portare il mio corpo indolenzito al riposo. Improvvisamente una mano si allunga davanti a me. Un nastro colorato pende. Lo afferro. E’ una medaglia. La prendo? La lascio? Danke schon. La tengo in mano ma non la sento.
Quante volte, nelle mattine solitarie, mi sono impegnato in un braccio di ferro tra muscoli e neuroni, tra corpo e mente. Quanti sacrifici e quanti sforzi come questo. Nulla di particolarmente diverso. Adesso, e come sempre, sensazioni comuni: mal di gambe, fatica e stanchezza. Quanti giri ho inanellato pensando di essere in un altro posto e quante volte mi sarei messo al collo una medaglia per gli sforzi fatti. Adesso che la sento pesante in mano la faccio scivolare nella borsa. Non è necessario metterla al collo. Questo è per gli altri. Per me è stato un giorno come un altro.
Orlando
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Berlino
Complimenti per la gara, complimenti per il racconto, mi dispiace però che non riesci a godere per la medaglie e per il traguardo raggiunto.
Probabilmente dipende dal fatto di aver ricevuto medaglie ben più importanti e tagliato traguardi con altri "tempi".
Grande comunque!
Public28/09/2010 09:50:51
Complimenti!
Ciao Orlando,
complimenti per la tua peformance! Tra l'altro anche decisamente regolare!
Public28/09/2010 10:31:24
Ben arrivato...al traguardo
Ho letto attentamente il racconto e immaginavo come finisse ma dentro di me c'era la speranza di un finale non scontato. Mi dispiace, ma è corretto che come tu esprima sensazioni di benessere per la corsa durante i tuoi tanti racconti così allo stesso modo hai reso manifesto e pubblico il fatto che le performance, le medaglie e le competizioni sono ormai ricordi del passato e la tua gioia e soddisfazione che esprimi con la corsa sono strettamente e intimamente personali e ienerenti proprio al piacere di correre e di star bene senza bisogno di altro. Grande Orlando. Grazie.
Public28/09/2010 10:37:22
berlino
Ciao Orlando, complimenti per la gara...vabbè insomma..per uno abituato a vincerle le maratone....però ci siamo capiti....
anch'io domenica a Berlino ho provato le stesse sensazioni tue ovviamente nel mio piccolo..e ad un ritmo mooooooooooltooooo più lento: correvo, ma mi stavo annoiando,non avevo proprio voglia e l'unica cosa che mi ha fatto finire è che non sapevo come tornare velocemente all'arrivo per ritirare la mia roba.
Francamente non ho guardato l'orologio, mi sono fermato a parlare con la mia fidanzata lungo il percorso...non avevo assolutamente la minima voglia di soffrire ed alla fine ero tranquillo senza male alle gambe, ho preso la medaglia, ho fatto la foto di rito e poi subito a cercare la mia borsa.
dopo sentivo gli amici che parlavano di tempi, medie, dell'incidenza del meteo e, francamente, non mi interessava niente.
mi è venuto in mente quello che ho letto nel libro di Marco Olmo e penso di sapere cosa "ci" sia successo: arriva un momento in cui si corre solo per il piacere di farlo, senza spirito competitivo, senza guardare tempi e distanze, ma solo perchè ci si sente bene nel farlo.
forse "siamo" a quel punto....boh...dai Orlando datti al triathlon...non preoccuparti "il nuoto non esiste...ti ipnotizzano" )))))) poi almeno lì "la gara" è a Kona....niente pioggia!!!
Public28/09/2010 11:00:56
berlino 2010
L'arte di essere saggi è l'arte di sapere su che cosa chiudere un'occhio”. W.James
complimenti... 6 grande
Public28/09/2010 11:21:23
Tristezza
Orlando caro, come tuo fan sfegatato e attentissimo lettore non posso che esprimere rammarico.
Mi dispiace leggere tra le tue righe una costante avversione al mondo che noi, tuoi estimatori, viviamo con gioia.
Ho ritardato questo commento sperando di trovare quotidianamente nelle tue righe uno spiraglio di freschezza, di gioia, di allegria nel descrivere quello che comunque è stato ed è il tuo mondo, per vocazione, passione e lavoro.
Adesso non capisco più: hai miriadi di sostenitori distribuiti in mezzo mondo e quello che pubblicamente riferisci loro è la tua marcata noia ed apatia... io ci rimango male!
Sembra quasi di starti sulle balle perchè viviamo e trepidiamo di qualcosa per cui tu non hai più alcuno stimolo ed interesse, se non quello del mero mestiere, alla pari di un "operaio" della corsa!
Comprendo che gli anni passano e che le passioni affievoliscono nella monotonia, ma i tuoi fans forse meritano qualche piccola accortezza, no?
Tutto questo per dirti che in ogni modo ti stimo, ti ammiro e vedo in te una persona di grande spessore umano, è una tristezza leggerti così dimesso...
Mal che vada puoi sempre raccontare qualche tua scorribanda sui mercati azionari, e lì si che "girano", gambe ed entusiasmo!
)
Ciao, a presto!
Giacomo T.
Public28/09/2010 15:13:06
berlino 2010
L'arte di essere saggi è l'arte di sapere su che cosa chiudere un'occhio”. W.James
complimenti... 6 grande
ripeto le stesse cose scritte prima....un campione si può permettere questo ed altro
ronzani f.
Public28/09/2010 17:56:46
Bravo !
Orlando, ti confermi come sempre persona di grandissimo spessore umano: altri al posto tuo avrebbero scritto un ennesimo racconto romanzato e un po' ruffiano sulla corsa, su com'e' bello ancora oggi trovare le motivazioni, etc etc, in modo da 'tirare acqua al tuo mulino'.
Invece, come quando ti sei ritirato a new york, non hai avuto problemi ad ammettere pochi stimoli (o difficolta', in caso di new york).
Al mio paese si chiama "onesta' intellettuale" ed e' sempre piacevole trovare una persona vera e non fasulla come te.
Complimenti, per questo e anche per il tempo che, stimolo o non stimolo, e' ottimo, anche se non ti consente di vincere le gare
ciao
antonio
Public28/09/2010 21:38:03
E già
Che tu sia sincero è la cosa più importante!
Il resto non conta, però deciditi cosa fare, perchè penso bastiamo noi come annoiati del quotidiano, caspita
Mollare tutto e fare quello che ti piace per il resto dei tuoi giorni, tu puoi pensare di farlo, noi no.
Hai avuto l'opportunità di essere il nr 1......ora pensa a qualcosa'altro.
Con stima.
Andrea
Public28/09/2010 23:08:57
Berlino
ciao Orlando. Sono stato in tua compagnia nella trasferta berlinese e il commento alla tua corsa è in contrasto con il sorriso che esprimi guardando le foto pubblicate su Terramia. Posso capire che le sensazioni di uno che come te ha percorso migliaia di chilometri siano noia e appagamento ma posso assicurarti che invece per coloro che arrivano alla soglia del mezzo secolo a percorrere con estrema fatica una maratona sono ben diverse. La fatica, i sacrifici, il tempo sottratto al sonno e ai propri cari, gli antidolorifici per lenire gli acciacchi vengono ripagati dal passaggio sotto l'arrivo. E in effetti poco importa della performance e della pioggia incessante, anzi nel lungo inverno sarà motivo di racconti un po' patetici, ma sentiti. Credo che persone come te debbano continuare a correre e a partecipare a queste manifestazioni affinché i principianti come me, almeno per un giorno si sentano campioni.
grazie
Luca
Public29/09/2010 12:27:28
Campione
Come sempre, parole da campione. Complimenti.
FANTONI MASSIMO30/09/2010 23:52:52
MARATONA DI BERLINO 2010
Cia Orlando.,complimenti per la tua gara... ho la tua età e l'anno scorso mancava un mese alla mia maratona a Berlino quando un mal di schiena mi ha impedito di andare...una delusione grandissima...poi il ritiro alla maratona di padova...per un dolore all'anca dopo 15 km... da allora...pubalgia... ginocchio...non sò più cosa fare...depressione totale ma ....non mollo è troppo forte il desiderio di corerre...
Public11/10/2010 19:02:54